I Wooden Shjips non sarebbero potuti provenire da nessun’altra città se non da San Francisco e la premessa è già utile a spiegare moltissime cose. Il fatto che oggi si abusa nel parlare di un movimento new psichedelic, senza un determinato sfondo concettuale, sembra pressoché una trovata pubblicitaria e modaiola, ma se vi capitasse di ascoltare questo quartetto americano dal vivo, che aggiunge alla citata imprecisa formula, una robusta sostanza, allora sicuramente cambierete molte convinzioni nonostante la critica mediatica, qui in Italia, sembra inspiegabilmente poco attenta a questa band. Intanto al Cellar Theory si è assistito a uno del migliore live underground dell’anno. I Wooden Shjips hanno un suono che alza la polvere da terra e crea un’ipnosi di massa che lascia spazio solo a poche funzioni vitali quali l’ascolto o al massimo ingurgitare una birra. I lunghissimi “mantra” lisergici e cosmici di “Dos”, eseguiti in blocco durante il live in ordine sparso, inebetiscono gli spettatori dalle facce impegnate ad assorbire e recepire i meditativi trip chitarristici in “Fallin’” e le smisurate suite di organo operate da uno stralunato organista in un’interminabile “For so long” che fa verso alle magiche “Motorbike” e “Down by the sea” in piena immersione trance-rock d’altri tempi. La batteria “motorik”, meccanica e precisa è suonata da un non-uomo che interpreta pattern estesissimi e filtrati da qualsiasi cazzata aggiuntiva all’essenziale mentre la voce proveniente da un tempo lontano e sapientemente riverberata, assume tonalità rasserenanti e lineamenti vagamente ascetici e “morrisoniani”. La metodicità dei brani si traduce in compatte e lunghissime cavalcate acide o epiche nelle quali ci si può trovare davvero di tutto: blues e psichedelia americana, musica cosmica tedesca, la wave newyorkese dei Silver Apples e Suicide, l’east-coast con espressività californiane, lo space rock, i Velvet Underground, gli Spaceman 3 e soprattutto la San Francisco dei Residents e delle comunità “freakallucinate”. Questi quattro bizzarri e strampalati omaccioni venuti dall’altra parte del mondo, hanno voluto ricordarci che certa musica rock è fatta di sudore, polvere, ambienti scomodi e maleodoranti. Un pizzico di eccentricità completa un insieme di fattori che esclusivamente concentrati in determinate condizioni danno la certezza di creare la magia!
Autore: Luigi Ferrara
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