Volendo tracciare un asse immaginario dal pop allo shoegaze più canonico, gli Slowdive si sono sempre caratterizzati per una posizione letteralmente mediana. Dalla formazione della band al Reading Festival del 1989 fino a “Pygmalion”, la direzione degli Slowdive è sempre stata quella di percorrere questo asse nella direzione opposta allo shoegaze, nonostante, sin dall’esordio sono stati universalmente considerati dei capostipiti del genere. Pensiamo un momento a “Just for a Day”, e viene in mente la vena romantica e rallentata che pervade i wall of sound di Chaplin, Halstead e Savill, passiamo per “Souvlaki”, e si ricordano già le sue molteplici sfaccettature di pop, elettronica firmata Brian Eno e qualche uscita shoegaze, fino alla rarefazione sperimentale di “Pygmalion”, punto più lontano dai canoni “fissati” dai My Bloody Valentine.
Dopo 22 anni, e tante altre esperienze maturate altrove, Neil Halstead, Christian Savill, Nick Chaplin, Rachel Goswell e Simon Scott premono il pulsante reset. “Right from the start” afferma lo stesso Chaplin al Guardian; si riparte dal principio, anche perché le intenzioni dei cinque non è quella di servire una minestra riscaldata a una manciata di nostalgici, ma fare qualcosa che “valga la pena di essere realizzato”. Intitolare l’album “Slowdive” non sembra essere un caso, torna in mente il primissimo EP omonimo, e ad un primo ascolto è proprio da quei suoni che la band pare voler ricominciare.
Una iniziale “Slomo” ha già un sapore diverso dal passato, ma è chiaramente ancorata ai brani più sognanti di “Just for a Day” e “Souvlaki”. È il singolo “Star Roving” a ribaltare la frittata: un riff così incalzante è sempre stata cosa rara per gli Slowdive più classici, ma la traccia è una cavalcata rock su un tappeto di shoegaze, che rivela un volto inedito della band britannica. Il bello è che non si tratta di un caso isolato. “Don’t Know Why”, “Everyone Knows” e parte di “No Longer Making Time” sono piccoli capolavori di un dream pop veloce dal groove potente, accostabili solo alla storica “When The Sun Hits”. Anche nelle tracce più lente e introverse non manca quel guizzo di innovazione; si veda il crescendo di rumore in “Go Get It”, lo sperimentalismo di “Falling Ashes”. Resta, invece, un contentino per i nostalgici (ma sempre con stile) la marcatamente 80’s “Sugar For The Pill”.
Un’operazione nostalgia? Probabilmente no. È evidente che Halstead e compagni vogliono fare qualcosa che abbia senso di esistere anche nel 2017. Tuttavia, non è da tralasciare che quest’anno sta per tornare un altro colosso dello shoegaze, i Ride, i quali hanno già dato prova di un sound “modernizzato” nei primi singoli. C’è da vedere se questi inattesi ritorni saranno il passo avanti di un prezioso sotto-genere musicale o solo una ventata di ricordi.
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autore: Gabriele Senatore