Ben Bridwell e soci in quel Ryman Auditorium di Nashville sembrano fare testamento ai posteri, un live da – farewell – in cui i migliori pezzi della loro lunga discografia vanno quasi a suggellare un distacco dal pubblico e dalla memoria; la sensazione appare netta, ma speriamo che i nostri abbiamo solamente staccare la spina (elettrica) per un unplugged da almanacco a mò di tornaconto di una carriera molto più che apprezzabile.
La loro America b-sides in primo piano, le loro sabbie melodiche sempre li a testimoniare l’agrodolce di sogni e storie, e tutta l’aria incontaminata di CSN&Y, Eagles, Kristofferson a ricamo tra chitarre, pianoforte, cori e respiri poetici da trip mentale. Dieci tracce, ballate, circoli fields, odori di western, watermelon succosi e sogni di amori lontani e solitudini vicine che passano all’ascolto con la grazia amarognola delle limonate non zuccherate; la chitarra tenera di Tyler Ramsey favorisce un macramè di corde delizioso e i tocchi di pianoforte ingigantiscono le emozioni che scoppiano gentilmente come polle di benessere dentro, tutto il resto è un omaggio sincero alla loro terra, alle polveri e alle impronte di chi è passato prima, di chi si è perso e ritrovato nei sogni asciutti dei grandi spazi.
Gli sguardi persi e disillusi Slow cruel hands of time, il ballatone folk dondolante e rotondo di Everything’s gonne be undone e Older o il coro splendidamente ubriaco su ricordi, falò accesi e donne andate da tempo Neighbor, allontanano il farewell prima accennato e vanno ad ingrassare la speranza che i Band Of Horses abbiano solo voluto giocare con l’affezione di tanti, del resto sono anche burloni sofisticati e apprezzati in quel di Seattle.
autore: Max Sannella