Ci sono ritorni e ritorni. Quello dei Fluxus è senza dubbio graditissimo, perché tanto sperato. L’ascolto di questo lavoro, giunto a quindici anni dal precedente disco omonimo, soddisfa tutte le aspettative e non delude minimamente le speranze. Anzi è già entrato nel mio cuore e molto difficilmente non farà parte della mia playlist del 2018.
L’entusiasmo che mi ha suscitato questo disco non lo provavo dall’ascolto degli ultimi lavori di The Ex e Mission of Burma. Gruppi che non sono affatto lontani dal quartetto torinese dato che li accomuna un approccio punk. “Non si sa dove mettersi”, titolo-citazione degli Stormy Six, interpreta perfettamente lo spirito punk-hc dei nostri giorni, non tanto diversamente da chi spaccava le orecchie con chitarre grezze e lancinanti agli avventori degli squat dei primi anni ’80.
I quattro Fluxus sono ultraquarantenni ma l’approccio alla vita e l’attitudine resta punk, come dimostrano in queste ottime undici tracce. Concettualmente, infatti, il filo conduttore del disco è la difficoltà di collocazione in questo contesto sociale così effimero e privo di punti saldi a cui fare riferimento. Questo concetto viene esplicitato nel dettaglio in tutti i brani sostenuti da un incrocio di post-punk, postcore, hardcore e spruzzate di metal e di indie anni ’90.
In ogni testo il quartetto spara in faccia all’ascoltatore bordate chitarristiche e testi privi di fronzoli, ma diretti. Così se in “Nei secoli fedeli” se la prende con tutte le forme di integralismi e dei riti tribali dei cani di Pavlov di quest’epoca, nella veloce “Ma ero già indietro” si concede qualche licenza poetica come “Io non rinuncio a niente, sono le cose che rinunciano a me”, rimandando al mittente i messaggi consumistici: il brano fa il paio con la breve e tiratissima “Ami gli oggetti”.
C’è spazio anche per un omaggio al post rock e ai Fugazi dell’ultimo periodo, ma anche ai Fluxus stessi più riflessivi nell’esistenzialista “La decima vittima”. Penetrante ed efficace è la disillusa “Gli schiavi felici”, vuoi per le chitarre assassine, vuoi per l’attacco frontale a “terroristi vegani, infedeli, cristiani, ecc.” e soprattutto ai “servi dei selfie”.
L’apoteosi della mancanza di certezza e del disincanto il quartetto lo esprime in “Alieni per la strada”, nella quale Franz Goria dichiara esplicitamente di non volere certezze e soluzioni. Il disco viene stampato anche in vinile a tiratura limitata in 300 copie.
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autore: Vittorio Lannutti