Inesorabilmente complesso, affetto da un immaginifico ipercinetismo ai limiti del galleggìo. Stelle fisse è il nuovo (quarto) album dei bresciani Aucan, una delle formazioni “aliene” che più hanno e caratterizzano la scena elettro/dubstep italica e – senza esagerare ma con convinzione – non solo, una formazione contemporanea che ad ogni uscita discografica fa lievitare – nel vero senso del termine – orde di ascolti e masse fluttuanti di corpi estasiati.
Leggermente più minimal dei lavori precedenti, l’album (che esce dopo quattro anni di silenzio) è di per sé un modulo viaggiante autonomo, regno di sintetizzatori, rumors, drum machine e campionatori vari, una dinamica dilatata e gassosa che atterra e plana a piacimento, svalvola melodie trasversali con ossessioni a loop, recide ogni collegamento con qualsiasi territorialità gravitazionale in favore di un trippy vagabondo, libero e anarchico.
Disco dalle sfumature delle notti fondi, clubbing, come venature pop, limature di Depeche Mode e certi Boards of Canada a fare da calamita con l’elettronica di base, nonchè fradicio del fascino di una costante sperimentazione mai statica, in continua evoluzione, in perenne “turbe spaziale” creativa. Gli Aucan – Francesco D’Abbraccio, Joe Ferliga e Dario Dassenno – dai ritmi tribali di Disgelo al baccanale di vibrazioni Cosmic dub, passando per le allucinazioni al vocoder di Disto, ci consegnano un altro pezzo di galassia prèt-à-porter dalle connotazioni di un piccolo/grande capolavoro marziano.
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autore: Max Sannella