Paul Cronin intervista Werner Herzog
La cosa più bella, Werner Herzog la dice a pagina 219: “Alla fine del film sappiamo che Fitzcarraldo è in bancarotta, ma anche che ben presto ne combinerà un’altra delle sue. È una persona che terrà sempre duro. E, come lui, tutti noi dobbiamo realizzare i nostri sogni, anche se abbiamo scarse possibilità di riuscita”. Scarsissime: come Herzog non appena intraprende l’avventura di un film. Soldi? Forse. Location? Irraggiungibili. Cast? Irrequieto. La stampa? Coi canini sporgenti.
Più che un’intervista quella che il regista tedesco concede a Paul Cronin è un manuale, che sa di vangelo apocrifo (“Incontri alla fine del mondo”, ed. Minimum fax): tutte le verità che avete sentito dire sul cinema sono mezze fesserie. Lui, risposta dopo risposta (sono quasi 400 pagine) prova a dare una sua versione dei fatti. Non necessariamente reale, però di grande forza pratica. Un manuale, appunto. Che sdogana e giustifica i mezzi – davvero quasi tutti i mezzi, tranne, forse, l’omicidio – quando c’è un obiettivo da raggiungere: il film che si ha in mente. Herzog racconta a Cronin del taccheggio della cinepresa dall’Accademia “perché era mia di diritto”, era di chi voleva fare cinema. E chi vuole farlo davvero? Non gli scolaretti, non gli accademici. Werner consiglia: “Andate fuori, nel mondo vero, andate a lavorare come buttafuori in un sex club, come guardiani in un ospedale psichiatrico o in un mattatoio”. E’ il cinema come atto fisico estremo – non mentale – e fideista. Le scene non vanno sognate ma cercate nelle cose di questo mondo.
“Cerchiamo nuove immagini o moriremo. L’assenza di immagini è più pericolosa del global warming, del riscaldamento globale, avverte Herzog. Il pensiero di immagini nuove ha squarciato la coltre del medioevo e creato il rinascimento umanista. Senza quella novità nel gusto visivo l’uomo medievale si sarebbe estinto. E’ quanto sta capitando a noi. E’ un manuale, s’è detto ma, a parte l’aneddotica spinta legata anche ai film minori, risulta anche un romanzo d’avventure: nella giungla, sul K2, tra le rapide, nel deserto. Il contributo di un grande cineasta, prossimo presidente di giuria al festival di Berlino, che ha sposato più di tutti la causa di Ulisse.
Autore: Alessandro Chetta