“Where Is My Mind?”… un interrogativo a cui i Pixies diedero piena, completa ed esaustiva risposta, nel 1988, con il seminale “Surfer Rosa”, disco destinato a entrare con forza e pieno diritto nella storia della musica, ponte generazionale che chiudeva un decennio e anticipava quello a venire, al pari di quell’altro gioiello che fu “Daydream Nation” dei Sonic Youth, per un fortunato destino della sorte, anche esso del 1988.
Dieci anni prima (era il 1978) i Pere Ubu avevano dato alle stampe il loro LP d’esordio “The Modern Dance” (per lo scrivente tra i massimi livelli raggiunti dalla musica), forti di quel teatro dell’assurdo tanto caro ad Alfred Jarry, al suo “Ubu roi”, e a quel capolavoro patafisico che è “Gestes et opinions du docteur Faustroll, pataphysicien”.
Ascoltando i Pixis, l’orecchio non potè non riportare alla memoria le “gesta” di David Thomas e compagni (di Thomas, tra il 1981 e il 1986, splendidi: “The Sound of the Sand & Other Songs of the Pedestrian”, “Variations on a Theme”, “More Places Forever”, “Monster Walks the Winter Lake”) nei Pere Ubu che, in uno con matrici post-punk abrasive e harcore di stampo statunitense (Violent Femmes, The Gun Club, Hüsker Dü…), diventavano punto di partenza dei Pixis per una mistura unica, deflagrante e violenta di post-punk, garage-rock e rock-deviato su cui si impiantavano melodie tanto efficaci quanto orecchiabili.
- “Surfer Rosa” e “Doolittle”
Con “Surfer Rosa”, Black Francis e con lui Kim Deal (che con i suoi The Breeders darà alle stampe il celebre “Last Splash” nel 1993), Joey Santiago e David Lovering avevano assimilato e metabolizzato la lezione del passato e la stavano restituendo e immortalando in brani epici e funzionali: oltre a quel capolavoro che è la citata “Where Is My Mind?”, “Gigantic”, “Bone Machine”, “Break My Body” … ne disegnavano l’inconfondibile profilo; dietro le fila da menzionare Steve Albini alla produzione.
Il miracolo di “Surfer Rosa” si replicava (in parte) con il successivo “Doolittle” del 1989, in cui giganteggiavano i due minuti di “Tame” che tracimavano in “Wave of Mutilation” e così a venire “I Bleed”, “Dead”, “Hey”… e in cui le ruvide spigolosità iniziavano a smussarsi (“Here Comes Your Man”, “Monkey Gone to Heaven”, “La La Love You” per tutte) verso una ancora più ecumenica predicazione.
I Pixis, con “Surfer Rosa” e “Doolittle”, sebbene in modo dissimile, erano in sostanza riusciti a trovare un esatto, delicato e fragile punto di equilibrio tra l’alternativo e il “fruibile”, raggiungendo il cuore e lo stomaco della loro generazione e di quelle a venire…
- Il prima, il dopo e la “pausa”
Prima, del 1987, gli interessanti e preparatori “The Purple Tape” (conosciuto anche come “Pixies” o “Demos”, pubblicato però nel 2002), in cui spiccano versioni di brani che troveranno spazio nei dischi successivi come “Broken Face”, “Break My Body”, “I’m Amazed”, “Here Comes Your Man”, “Down To The Well”, “Subbacultcha”, oltrea a “In Heaven” di Peter Ivers e David Lynch (nelle note di copertina è poi scritto che solo “Rock a My Soul” era rimasta come traccia mai ulteriormente realizzata)… e il mini album “Come On Pilgrim” con “Caribou”, “Vamos”, “Ed Is Dead”, “I’ve Been Tired”…
Dopo, nel 1990, inizia il tracollo con “Bossanova” in cui la musica comincia a perdere d’interesse poiché votata a un rock ora più duro (“Rock Music”), ora più AOR (“Velouria”, “Alison”, “Ana”, “Dig For Fire”…), ora rivolto al passato ma privo di mordente (“Is She Weird”), né salva il risultato finale la citata “Down to the Well” e le interessanti “The Happening” e “Blown Away”; in apertura e chisura preplimono “Cecilia Ann” (a firma The Surftones) e “Havalina”.
Leggermente meglio di “Bossanova” è “Trompe le Monde” del 1991, in cui una vigoria salva il salvabile come in “The Sad Punk”, in “Head On” dei The Jesus and Mary Chain, in “U-Mass”, nel recupero della vecchia e bella “Subbacultcha”, mentre tradiscono momenti come la radiofonica “Motorway to Roswell”; “Trompe le Monde” chiude, in ogni caso, un primo periodo destinato a fare storia poiché segna anche la momentanea uscita dalle scene dei Pixies.
- Il ritorno
Bisognerà aspettare il 2004 per avere nuovamente notizie dei Pixies che torneranno a suonare assieme dal vivo e pubblicheranno il bel singolo liquido “Bam Thwok” che porta “l’impronta” di Kim Deal; dell’esperienza live del 2004 non mancheranno numerose testimonianze.
È però il 2013 l’anno che segna l’era di un nuovo inizio con l’uscita dal gruppo di Kim Deal e la pubblicazione, dopo ventidue anni, di un nuovo disco (sebbene in formato EP) “EP 1” a cui seguiranno nel 2014 “EP 2” ed “EP 3” che, in trio andranno, a comporre “Indie Cindy” (del 2014): al basso la partecipazione di Simon “Ding” Archer.
Purtroppo la reunion non giova, e i Pixis ripartono da quanto di poco convincente avevano congedato del 1991; sia il citato “Indie Cindy” che il successivo “Head Carrier” del 2016 (questa volta al basso è Paz Lenchantin) propongono un rock ripetitivo e mainstream, con brani orecchiabili e radiofonici, carichi di aperture anche pop (“What Goes Boom”, “Indie Cindy”, “Another Toe in the Ocean”, “Head Carrier”, “Classic Masher”, “Might As Well Be Gone”, “Tenement Song”, “All I Think About Now”…), con pochi illuminati spunti che si limitano a “Talent”, a “Um Chagga Lagga”, a potenzialità inespresse come “Magdalena 318” e a discutibili scelte come “Greens and Blues”, “Bagboy”, “Andro Queen”.
La situazione peggiora con “Beneath the Eyrie” del 2019, scialbo e senza nerbo, con un suono edulcorato da echi dei peggiori anni ottanta (non quelli dei Pixies degli anni d’oro ovviamente) come da subito mostra “In the Arms of Mrs. Mark of Cain” o “Los Surfers Muertos” e che non graffia nemmeno quando lascerebbe ben sperare come con “On Graveyard Hill”, “Catfish Kate”, “St. Nazaire”, concedendosi finanche momenti alla Tom Waits (“This Is My Fate”) o alla Nick Cave (“Bird of Prey”) e ballate folk-rock (“Silver Bullet”).
“Doggerel” del 2022 asciuga un po’ il suono ma di fatto prosegue nel solco di “Beneath the Eyrie” virando verso una formula alt-pop: emblematica è “Vault of Heaven” con tanto di cori e con essa le ballate “Haunted House”, “The Lord Has Come Back Today”, la radiofonica “There’s a Moon On”…
- “The Night The Zombies Came”
Ora si è giunti a “The Night The Zombies Came” (BMG) e proponiamo nuovamente l’interrogativo “Where Is My Mind?”… la cui risposta, terminato l’ascolto, è in un lavoro discografico gradevole e “leggero”, utile ad arricchire numericamente la discografia dei Pixies e a stare “bene” sul mercato proponendo vecchi (ma edulcorati) clichè, come anticipato dal singolo “You’re So Impatient”, e più recenti abboccamenti verso una funzionale musica da classifica, come dimostra da subito l’altro singolo “Motoroller”, sicuramente hit da passare in radio.
Con essi, ad anticipare l’uscita di “The Night The Zombies Came”, la desertica “Chicken” (con il corposo basso nella new entry Emma Richardson) e la più abrasiva “Oyster Beds”.
Congedati i singoli, andiamo dunque per ordine.
L’apertura di “The Night The Zombies Came” è affidata a “Primrose”, piacevole tenue ascolto.
Se “Jane (The Night the Zombies Came)” colpisce nel suo essere cantilenante e “storta”, “Hypnotised” è intrisa di malinconica leggerezza e mostra riusciti cambi di registro, mentre “Johnny Good Man” è bella e orecchiabile nel suo piglio un po’ retrò e, anch’essa, caratterizzata da riusciti cambi.
“I Hear You Mary” è ballata che evoca echi anni ottanta, sonorità che emergono in “Mercy Me” con richiami anche agli anni settanta.
Se “Ernest Evans” aumenta i giri con il suo violento rock ‘n’ roll, chiudono in decrescendo “Kings of the Prairie” e “The Vegas Suite”, entrambe ballate che si lasciano ascoltare; “The Vegas Suite”è poi caratterizzata, anch’essa, da cambi di registro, sonorità retrò e ruvidi inserti di chitarra.
“The Night The Zombies Came” è quindi un disco che nulla aggiunge e nulla toglie, che si lascia ascoltare, anche gradevolmente, ma (a “dispetto” del titolo) senza né sussulti né grida di terrore…
https://www.pixiesmusic.com/
https://www.facebook.com/Pixies
https://www.instagram.com/pixiesofficial/