A chi ascolta gli U2 dal lontanissimo primo singolo Out of Control del 1980 il sound di questo nuovo disco non può non essere apparso nuovo, strano, quasi “freak”.
Di questo si dovrebbe parlare, soprattutto, e invece… Fra le migliaia di news, recensioni, commenti blog e notizie spot che girano per la rete su Songs of Innocence, 14mo album dei planetari U2, il tema musica quasi non esiste. Si commenta solo l’operazione mediatica, da qualcuno definita “scandalo”, con cui il disco è stato regalato a 500 milioni di utenti attraverso I-Tunes dalla Apple, mediante un accordo commerciale presentato da Tim Cook con gran pompa in tutto il mondo il 9 settembre all’inaugurazione dell’I-Phone 6.
Eppure dieci anni fa quando gli U2 fra i primi decisero di mettere in vendita il loro disco di allora attraverso i nuovi canali della rete (infuriava all’epoca ancora la polemica su Napster e la scarsa qualità degli Mp3 e le case discografiche erano restie ai formati digitali) nessuno si scandalizzò più di tanto. Si dovrebbe ricordare che risale ad allora l’accordo con la Apple, e non ai tempi attuali dell’I-Phone 6.
Oppure si dovrebbe ricordare che altre band hanno messo i loro prodotti in regalo on line, ma siccome sono band considerate “alternative” allora va bene: vedi i Radiohead per tutti.
O si dovrebbe istruire chi sta dicendo che non vuole trovarsi l’album per forza in libreria, sottolineando che l’album arriva direttamente nella libreria solo se hai impostato il download automatico. Non è una imposizione di Bono e compagni.
Tuttavia, anche illustri artisti nostrani (Teatro degli Orrori, Africa Unite et alia) commentano sui vari blog e definiscono scandalo o porcata quanto accaduto. A noi di Freak Out piacerebbe parlare di musica, ma l’argomento del giorno a quanto pare è questo, e allora tuffiamoci anche noi, provando magari a dire qualcosa che non tutti dicono.
Per esempio, che scandalo non è se l’album viene regalato: ben più grave sarebbe se la vendita fosse stata imposta in esclusiva attraverso I-Tunes; invece ogni fan potrà comprare il suo disco degli U2 nel formato che vorrà, come sempre. E poi, vale sempre il vecchio detto per cui a caval donato non si guarda in bocca. E di cavalli donati fra YouTube, siti dedicati e Spotify ce ne sono tanti. O no?
E’ certamente una gigantesca operazione mediatica, che ha portato nelle case di 500 milioni di persone il disco: ed è precisamente qui che sta la notizia, o meglio, nei meandri nascosti della cosa.
Sì perché questo è un disco “strano”, in primis, perché si tratta della più lunga gestazione nella storia della band: 5 anni dai tempi di No Line on the Horizon, il più lungo periodo di pausa, per una band che prolifica non lo è stata mai (14 album in quasi 35 anni, compreso un album totalmente live, dunque un’uscita ogni due anni e mezzo).
E poi, caso unico nella storia della band, il disco è stato più volte rimandato: annunciato la prima volta addirittura subito dopo il precedente (per le registrazioni di NLOTH erano stati scritti più di 40 brani e se ne voleva fare una sorta di part II, quasi come Zooropa per Achtung Baby), è stato di volta in volta rinviato finché, arrivati i tempi soliti (quattro anni) è cominciata la pressione. Il disco sembrava pronto, il titolo si conosceva già da mesi, ma l’album non usciva.
Era uscito un singolo, nell’inverno 2014, che forse nessuno ricorda: a ragione, perché Invisible era insignificante e la sua sorte fu affidata al suo titolo. In precedenza era uscita Ordinary Love, colonna sonora del film su Mandela (ancora non visto nelle sale italiane): anche questa, molto passata nelle radio, ma vendite poche. Dopo quattro anni, per una band come gli U2, non era proprio l’accoglienza che ci si aspettava. E di sicuro non se l’aspettava Bono, che pare abbia frenato il lancio.
E allora, si è cominciato a parlare addirittura dell’uscita nel 2015, subito smentita dalla band: ma c’è da giurarci che dopo questo semi-esordio fallito, Bono e compagni sono tornati sul disco col loro produttore Danger Mouse (oltre al solito Flood), a rivedere qualcosa, e giù altri ritardi. Fatto sta che Invisible nel disco non c’è, e che sono passati altri mesi.
Del lancio via Apple, poi, nessuno parlava fino alla settimana prima: grande strategia, certo, ma pensata da quando? E se fosse stata una valvola di emergenza per evitare il flop del disco? In fondo, le premesse non erano solide, e già sono anni ormai che un’uscita degli U2 non fa più tendenza, come in passato The Joshua Tree, Achtung Baby, o Rattle and Hum. E c’era da confrontarsi con l’ennesimo record di vendite dell’ultimo tour, il U2 360° tour del 2009-10.
Non sarà allora che si è voluto regalare l’album a 500 milioni di persone perché 500 milioni lo ascoltassero e ne parlassero, evitando flop nelle vendite? Non sarà che gli U2 per la prima volta non sono così sicuri di un loro disco? Non sarà che la chiave di tutta questa gigantesca operazione sta nei pieni, o nei vuoti, di queste Canzoni dell’Innocenza? E allora… parliamo di musica, piuttosto, perché ce n’è da dire.
L’album suona fresco, nuovo, non stantio come il singolo Invisible, e non riconducibile immediatamente a nessuno dei dischi precedenti (semmai, a qualcosa che sta fra i B-sides dell’epoca di Acthung Baby e le canzoni di All that You Can Leave Behind del 2001). Gli arrangiamenti di the Edge non sono dei copia e incolla, si sentono riff e accordi da lui mai tentati, e la voce di Bono è fresca e addirittura sembra recuperata rispetto al penultimo album (ma bisognerà vedere i live, perché è lì la prova del nove) anche se resta nemmeno lontanamente paragonabile agli anni ‘80. E queste sono buone notizie.
Più che canzoni di innocenza, sono canzoni pop, molto pop. In questo senso si può tranquillamente dire che Songs of Innocence completa la svolta pop iniziata nel 2001 e proseguita con How to Dismantle an Atomic Bomb nel 2004 e parzialmente rivisitata con No Line on the Horizon. E questa invece non è una buona notizia per gli amanti di prim’ora della band.
Lo spot mediatico parla di ritorno alle origini: non è vero, c’è solo un pezzo che ricorda da vicino i tempi di Boy, purtroppo, ed è Raised by Wolves. Non c’è altra traccia degli U2 degli anni ’80, ma ben poco anche di quelli splendidamente sperimentali ed elettronici degli anni ’90.
No, gli U2 del nuovo millennio oramai sono questo, e c’è da pensare che così finiranno la carriera: dopo tre album quasi uguali, pieni di un rock-pop eccessivamente melodioso e buonista e mai duro, o elettrico, Songs of Innocence scoglie la prognosi e si dichiara tout court come album completamente pop. Un bel pop, certo: dinamico, ritmato, con un Larry Mullen ritrovato dopo l’eclissi degli ultimi dischi, ma pur sempre pop. Come tale, lontano anni luce dai capolavori che furono, che hanno fatto la storia del rock anni ’80, e che hanno segnato insieme a pochi altri le linee della musica anni ’90. Il cammino degli U2 come migliore rock-band del pianeta è finito lì, nel 1997, e da allora ci sono solo canzonette. A volte molto belle, ma pur sempre di basso profilo. Una band che sopravvive a se stessa, insomma: forse è questo che si è voluto occultare con la grande operazione I-Tunes. Riuscendoci perfettamente, perché nel bene e nel male per molte settimane gli U2 saranno ancora, come sempre, sulla cresta dell’onda mediatica.
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autore: Francesco Postiglione