Il nuovo lavoro dei danesi Dragontears non segna alcuna novità rispetto al loro percorso precedente, e come potrebbe essere il contrario, del resto: la creatura psichedelica di Lorenzo Woodrose è nata con una precisa missione, ossia ritrasmettere nell’universo il riverbero cosmico fluorescente e ipertrofico della psichedelia californiana sixties dei 13th Floor Elevators, della Chocolate Watchband e dei Quicksilver Messenger Service, con esiti però mai così efficaci, poiché Turn on, Tune in, Fuck off!! è il più a fuoco dei 3 dischi finora editi dalla band, senza alcun momento di cedimento nei 37’15” di durata, e la band si conferma vero e proprio riferimento mondiale, al giorno d’oggi, per questo tipo di musica.
E’ il caso di citare subito i 13’10” di ‘William’ – che ricorda ‘River’ del disco precedente, e ‘The Doors of Prescription’ di quello ancora prima –dedicato al pittore W.S.Olsen, quinto dei sei lunghi brani del lavoro, e come è facile immaginare, su una durata del genere, ci conduce per mano in una dimensione acida, sciamanica, narcotica fatta di fuzz, tremolo, percussioni di pelle, wah, campanelli, echi, nastri al contrario, moog e tanto liquido amniotico, con effetti celebrali molto intensi, e questo episodio ricorda molto i giapponesi Acid Mothers Temple, altri giganti del genere ma più sperimentali, destrutturati e avvezzi alla lunga suite, tanto più che ‘William’ forma un tutt’uno musicale con i 5’50” del successivo brano intitolato ‘Mennesketvilling’, così che la durata complessiva sale a 19’00 e l’esperienza psicotropa diviene completa.
La natura dei Dragontears però è più varia di quella dei colleghi giapponesi, poiché la band, staccatasi da una costola dei vitali Baby Woodrose, sa esprimersi anche su durate brevi e con strofe e ritornelli – ricordiamo che nel disco precedente c’era una versione stravolta della politicissima ‘Masters of War’ di Dylan – e dunque qui troviamo episodi come la fondamentale ‘Two Tong Talk’, che è rock anfetaminico tipo 13th Floor Elevators allo stato puro, come pure ‘No Salvation’, in cui il rumoroso garage fuzz chitarristico e il mellotron creano un avvolgente e ripetitivo ritmo da seguire ad occhi chiusi, per non parlare di ‘My Friend’, brano semiacustico tossico e paradisiaco al contempo.
Ancora una volta dobbiamo celebrare la figura affidabile e sorprendente di Lorenzo Woodrose, dunque, artista capace con la sua passione autentica per il rock e la psichedelia di donarci dischi molto belli se non provvidenziali, malgrado il Mondo della musica indipendente sembri tenerlo inesorabilmente in una posizione laterale, non abbastanza considerato.
le vecchie recensioni sin qui pubblicate
www.freakout-online.com/album.aspx?idalbum=1675
www.freakout-online.com/album.aspx?idalbum=1304
www.freakout-online.com/interviste.aspx?idintervista=132
Autore: Fausto Turi