I racconti del Sud e della musica popolare rappresentano l’impegno di Teresa De Sio fra le voci più rappresentative della scena parteponea.
Riddim a Sud è il lavoro dell’Artista basato sullo scambio di energie creative con diversi nomi della scena musicale da Raiz, Apres La Classe, Roy Paci, Ambrogio Sparagna, Ginevra Di Marco, Francesco Magnelli passando per Mau Mau, Radicanto ed altri in uno scambio di culture che vengono rappresentate in Riddim a Book. Un libro, in edizione limitata, che analizza in «un’avventura spericolata» e ripercorre i cinque live di questo appuntamento in musica con la fotografia di Pasquale Modica.
Incontriamo la protagonista in cui si raccontava di un altro progetto CRAJ e anticipare del prossimo libro, intitolato Metto il Diavolo a Ballare.
Un lavoro che si prefigge, racconta l’Autore, di «curare l’infelicità». Rispondendo, attraverso un romanzo, alle numerose domande di chi ballando la Taranta ne percepisce l’energia, proveniente da antiche tradizioni e costumi locali.
Bentrovata, Teresa!
Riddim a Sud il progetto musicale dove il vento è considerato elemento di scambio di energie creative, come avviene?
Intanto la musica è sempre uno scambio di energie, può diventare anche uno scambio di energie creative quando se la scambiano i musicisti tra di loro. Questo progetto di Riddim a Sud è nato perché una delle mie passioni, una delle mie musiche di formazione, su cui sono cresciuta è il reggae, la musica giamaicana, che poi è il folk di quell’isola, di quella terra. Nella tradizione giamaicana i musicisti hanno questa modalità di scambio della musica, per cui si passano le basi della stessa canzoni più autori, più narratori, più cantanti, e quindi sulla stessa base, sullo stesso ritmo, sullo stesso riddim appunto, si costruiscono canzoni completamente diverse. E questo è stato molto importante per loro, perché ha favorito moltissimo la diffusione, proprio per un fatto anche di economia vera e propria, perché una base costa meno di dieci basi se ci puoi cantare sopra dieci pezzi diversi. Ha divulgato moltissimo la musica giamaicana, la musica reggae nel mondo.
Allora io ebbi questa idea di provare a importare questa modalità nella nostra musica folk. Quindi ho offerto le basi di alcuni miei pezzi, soprattutto degli ultimi due dischi, quindi di Sacco e fuoco (2007) e A sud! A sud! (2004) ad altri musicisti che sono non solo miei amici ma anche musicisti con cui ho una certa vicinanza nell’intendere la musica, nel pensarla e nel farla; da Raiz a Roy Paci, a Ginevra di Marco, ai Mau Mau, ai Radicanto, a Peppe Voltarelli, ad Ambrogio Sparagna, agli Agricantus. Una serie di amici che hanno rielaborato secondo le loro esperienze musicali i miei riddim.
Riddim a Sud si racconta attraverso le immagini in Riddim a Book un libro in edizione limitata?
Diciamo che dopo il disco abbiamo portato in giro anche uno spettacolone che si chiamava appunto Riddim a sud. Questo spettacolone, come tutti gli spettacoloni dove c’è un sacco di gente… tutti questi musicisti… eravamo tutti insieme, quindi grandi avventure, ti puoi immaginare, fare un tour con tanti musicisti insieme è una cosa impegnativa ma divertente.. succedono storie…
Con noi c’era Pasquale Modica che era un grandissimo ritrattista di musica che sa cogliere molto bene la musica sui visi delle persone e che ci ha fatto tante fotografie. Allora abbiamo immaginato un piccolo.. non è un libro, è un libretto a tiratura limitata che accompagnasse anche il disco e lo raccontasse attraverso delle belle immagini ci sembrava una cosa fatta bene quindi l’abbiamo fatta.
Un lavoro senza tempo, un lavoro che parlando di reazioni non subisce l’erosione delle mode e dei costumi. E’ questo il concetto della filosofia di Riddim A Sud?
Un po’ sì e un po’ no. Nel senso che per me le tradizioni sono qualcosa di molto importante che dobbiamo portare con noi perché sono la nostra storia, sono le nostre radici. Sono l’unica cosa che a noi, popolo che cerca di salvarsi dalle influenze televisive, ed è un popolo molto nutrito anche se non viene mai rappresentato da nessuna parte, fa molto bene. Ma è indispensabile, affinché non ci facciano sentire praticandole simili a stalattiti e stalagmiti, che vengano mischiate con i suoni più avventurosi e legati all’oggi e chissà, magari anche al domani. Io, personalmente, se dovessi oggi definire la mia musica indipendentemente da Riddim a Sud, che è un’esperienza collaterale, molto bella, molto importante ma che davvero riguarda molto meno me e molto di più i musicisti che l’hanno interpretato questo disco, perché alla fine io non ci sono, ho solo offerto le mie basi e tutta la bellezza del disco l’hanno fatta loro riscrivendo le canzoni. Se devo dare un nome e un’etichetta alla mia musica sicuramente posso chiamarla a pieno titolo folk-rock.
Nel precedente incontro quando si parlava del progetto CRAJ insieme a Giovanni Lindo Ferretti, avrei voluto accennare della tua passione per la computer grafica. Dove nasce questa passione?
Io in quel campo sono assolutamente una dilettante nel senso letterale della parola. Ogni tanto, per puro diletto, disegno con il computer. Devo dire che, non avendo mai disegnato in vita mia, e naturalmente qualsiasi mio detrattore potrà ben dire «si vede!», cerco di creare delle cose con gli strumenti che la computer grafica mi offre. Disegno e credo di poter riuscire a fare con il computer delle cose che davvero, in questo caso, con gli strumenti tradizionali, acquerelli o con olio o con pennelli, non avrei la faccia tosta di mettermi a fare.
Ho letto che hai pubblicato un cofanetto con 6 cd ri-masterizzati. Che effetto ti fa riascoltare la De Sio dei primi anni ’80, quella di Voglia ‘e turna’, Aumm aumm e altri brani indimenticabili?
Devo dire che naturalmente risentirli (anche se, ti dico la verità, non è che ho perso molto tempo a riascoltarli perché non amo molto risentire le cose già fatte, le conosco) trovo esattamente tutto quello che mi aspetto di trovarci. Ci sono cose assolutamente belle, assolutamente intense, assolutamente fortissime e che rappresentavano perfettamente quella che io ero nel momento in cui le ho fatte queste cose. Oggi faccio altre cose, oggi la mia musica è diversa, si nutre di altre cose, pur essendo la linea che la attraversa sempre la stessa, perché c’è sempre questo legame col territorio, il legame con il dialetto che però delle volte sfocia nell’italiano, il legame con la tradizione che però è sempre più piena e nutrita di sonorità anche diverse. L’impasto di cui è fatta la mia musica è sempre lo stesso. Gli elementi di quest’impasto sono sempre la tradizione, il folk, il rock e la sperimentazione. E, ogni tanto, ho la faccia tosta di alzare gli occhi sulla canzone d’autore quando voglio raccontare qualcosa di più complesso delle mie storie. Ma questi sono gli elementi, è una micro costellazione in cui una volta vale di più il sole, una volta la luna, come nell’alternarsi delle stagioni, come in tutte le costellazioni. E basta, io sono l’elemento fisso.
In chiusura del nostro incontro ci dai un’anticipazione sul libro che hai scritto?
Il libro è già scritto, uscirà il tre novembre. Vorrei subito dire questo per fugare ogni timore: è un libro che non ha assolutamente a che fare né con me personalmente né con la mia biografia. E’ un romanzo che ha si a che fare con la musica, ed in particolare con un tipo di musica che io conosco molto bene, che ho frequentato fin dall’inizio della mia storia di musicista e che è la musica pugliese, salentina, la Taranta. La Taranta raccontata non attraverso i balli di oggi ma attraverso le radici vere del tarantismo che è un escamotage messo in campo dalla cultura popolare antichissima per curare l’infelicità. Ed è un tentativo di descrivere questa cura dell’infelicità che mi ha portato scrivere questo libro. Anche per rispondere con una storia e non semplicemente con delle parole esplicative a tutte le domande che mi fanno le persone che vengono ai miei concerti, i ragazzi che vengono a ballare sotto al palco e che magari percepiscono la forza, la violenza energetica di questo ballo che a loro fa bene e non sanno perché fino in fondo questo ballo gli fa bene, non sanno fino in fondo quale energie curative ci sono dentro e che vengono da lontano. Allora questo romanzo, che si intitola Metto il diavolo a ballare, racconta proprio di questo.
Autore: Patrizio Longo @ Extranet
www.teresadesio.com