Wandering. Derive. Possono durare settimane, mesi, anni, ma alla fine si troverà modo di dar loro un approdo. Come “Expedition”, esito di 5 anni di un girovagare brado per strade, città, per il mondo, suonando con la spontanea adesione degli artisti locali. Ma anche osservando, con l’occhio dell’anima, ciò che una normale “session” turistica non rileverebbe, ed elaborando ciò che si è visto, nella consapevolezza che osservare la realtà è anche già modificarla, sia all’interno che all’esterno. Il viaggio in un’accezione funzionale all’esplorazione di sé attraverso il mondo esteriore.
“Expedition” è una lunga meditazione sul tema del viaggio. Ermetica nel non far cogliere con immediatezza questa idea, purtuttavia accessibile nella sua dimensione di mero, ma attento, ascolto. L’equipaggio è eterogeneo, da lasciare sorpresi. Steve Piccolo, innanzitutto. Co-fondatore dei Lounge Lizard di John Lurie, ma anche produttore dei Massimo Volume e, tra le due esperienze, finanche paroliere di ‘Self Control’ (il tormentone estivo mid-80s di Raf – c’eravate già a buttar soldi nei juke-box di villeggiatura?). Gak Sato, dj e musicista elettronico del Sol Levante con l’inclinazione a rivisitare, in maniera intelligentemente sperimentale, la cocktail music degli anni di Cinecittà che altre “vittime” ha fatto nella smanetteria kitsch dell’estremo oriente. Entrambi accomunati dalla circostanza di aver interposto, da una decina d’anni, migliaia di kilometri tra sé e la propria homeland, est verso ovest e viceversa, convergendo a Milano. Dove hanno trovato – lui invece “indigeno” – Luca Gemma, ex-voce dei Rosso Maltese.
Inutile provare a cercare i possibili punti di contatto pregressi tra i 3 artisti in questione, così come sbagliata si è rivelata è stata l’aspettativa, stimolata dalla presenza di Sato, di un disco orientato verso il suono sintetico. “Expedition” è, pur nella parziale sua consistenza di beat, samples e suoni casuali, un disco suonatissimo. E parecchi ascolti sono richesti perché ne si possa individuare – con le cautele dell’insegnamento di cui sopra a proposito dell’osservazione – l’essenza strettamente sonora. E non si tratta, come altre volte abilmente camuffato, di sforzarsi di trovare parole diverse per qualcosa di simile a ciò su cui si è già in precedenza parlato. La particolarità, nella fattispecie, sta nell’aver applicato un approccio, una “metodologia” cantautorale – suggerita anche dalla quasi costante presenza della voce di Gemma – a sonorità cui non siamo abituati a pensare in termini di cantautorato.
A partire dal lounge-jazz. Una dimensione sonora che pervade una buona metà disco e che, nella sua “cortese” discrezione, lascia che i suoni non prendano il sopravvento su una poesia narratoria in cui gli “appunti di viaggio” vengono tradotti. Una dimensione sonora non marcatamente caratterizzata, quasi “sospesa”, che consente passaggi stilistici non bruschi verso discreti accenni di reggae (‘Nickels and Dimes’), libere interprtazioni di pop beatlesiano (‘A Day in the Life’ – sì, proprio quella, anche se irriconoscibile), svogliato trip-hop (‘Wasting Days’), ambient “malaticcia” (‘Stakeout’), spoken word (la title-track), primi piani di chitarra acustica (‘Ticket Home’), e in generale verso una coabitazione armoniosa con il pop, inteso come suono piano, mai ripido.
Quello che è già un quadro sonoro eterogeneo lo diviene ancor di più cone ‘Rumble’, impennata drum’n’bass intrisa di grevi schitarrate frippiane, e il quasi altrettanto frenetico arzigogogolo-scioglilingua swing-jazz di ‘Anyway (flashback)’. Eccezioni “movimentate” di un album già intrigante. Se gli altri ascolti vi hanno lasciato curiosità residua, “Expedition” è una buona occasione per non tenerla “inutilizzata”…
Autore: Roberto Villani