Parte il disco di Aubele, e la prima mujer che ti capita per la stanza si fa avvolgere dall’erotico gioco di latin music e batteria elettronica. La mujer è già ai tuoi piedi, speriamo che “Ante tu Ojos” resista a lungo. A credere nella bella faccia da calciatore triste di Federico sono stati i Thievery Corporation che hanno prodotto “Grand Hotel Buenos Aires” con la convinzione di dare voce ad una delle più interessanti promesse del panorama indipendente sudamericano. Intuizione giusta, ma da severi padri putativi hanno finito per “imporre” al giovincello una serie di suggerimenti probabilmente troppo orientati in direzione Thievery. Ne risulta un gradevole ma non trascendentale lavoro di corde suadenti e messaggi carezzevoli e tintinnii tristi. Un equilibrio che l’argentino cerca con insistenza, talvolta traballando, talvolta con sicurezza da funambolo esperto. E’ la sicurezza di chi ha nel portafogli il santino autografato di Astor Piazzola – il dichiarato faro ispiratore – e nei timpani concentrati e fuligginosi battiti dub e downtempo. Ascoltiamo “Mona” (titolo evidentemente proibito nel nord est italiano…) e avremo una hegeliana sintesi del romanticismo intelligente di Aubele. Distendiamoci sui paesaggi notturni e il canto di sirene annesso di “Un Lugar”, esotico a puntino.
El chico de Baires, si dimostra un cicerone sincero, anche se non il primo arrivato, di quel grand hotel della ventura che è il suo sterminato paese.
Autore: Sandro Chetta