Un lavoro prodotto da DreaminGorilla Records, E’ Un Brutto Posto Dove Vivere, Insonnia Lunare Records, Stay Records e Astio Collettivo.
Piccola e breve premessa a questa recensione: i 124C41+ (pronunciati One To Foresee For One Another) sono un quartetto di Terni. Il genere che attualmente suonano è un solido dark-ambient, declinazione largamente esplorata da ogni sua direzione anche in Italia ormai, tranne forse che da una: lo screamo. Difatti, nel caso di questa piccola formazione nero pece quel che conta è il viaggio, oltre che la destinazione. Basta un rapido ascolto l’omonimo Ep di esordio per accorgersi che si tratta di una suite screamo divisa in tre sezioni, nemmeno tanto distante dalle sonorità dei Raein più oscuri, la quale si sviluppa gradualmente in direzioni propriamente ambient (ma non troppo dark). Con il successivo esperimento “Mörs/Erde”, i 124C41+ approdano al doom con l’aiuto dei Die Abete; stavolta le grida restano dello stampo del precedente disco, ma l’incedere strumentale viene narcotizzato da un suono monolitico e opprimente. “ODE” è il successivo passo: un brano di oltre venticinque minuti (sempre suddiviso in sezioni, ma stavolta è un Lp) puramente ambient, in cui le esperienze passate sono le utilissime muse per un’opera che ha qualcosa di diverso.
Per comprendere un disco così astratto è preferibile adoperare immagini evocative. La sensazione che comunica l’incipit “Ode/Il Nubivago” rimanda ad una umida e male illuminata strada di un futuro ipertecnologico, proprio come quello fantasticato da Hugo Gernsback (da cui la band trae il proprio nome). Il crepitio della pioggia battente, il rumore di fondo indistinto della metropoli insonne. Ad un tratto, cominciano imbardate distorte dei suoni prodotti dai veicoli che sfrecciano sull’asfalto. Le impennate sintetiche raggiungono vette sempre più acute, assomigliando di volta in volta ad una melodia litanica ed intermittente. “Trauermarsch” segna l’ingresso dell’ascoltatore in un locale chiuso, un night dalle luci al neon e dagli sgabelli irrimediabilmente vuoti. Un piano meccanico ripete ossessivamente le stesse note, mentre i pochi clienti sorseggiano solitari i propri drink. L’amara considerazione che il padrino della fantascienza moderna non riuscì a trarre dal suo mondo popolato dalla tecnologia delle radiofrequenze (forse perché ancora ottundo dal cieco ottimismo positivista) è espressa con crudeltà sonora da questo brano: un crescendo di terrificante isolamento psicologico, che finisce per ricordare una versione perversa e distorta della colonna sonora di “Twin Peaks”.
Terminata la sua insulsa bevanda, “Grave” (terza sezione del disco) accompagna di nuovo all’esterno l’ascoltatore con un’esplosione di chitarre. Dopo una notte temporalesca, un’alba pallida fa capolino sullo skyline futuristico. È il piacere sublime per l’orizzonte metropolitano in continuo progresso, quasi inarrestabile, oramai cinico dinanzi all’umanità. Tra “Luce” e “Risalendo” la cadenza doom si fa persino depressive e sludge, in corsa verso un ennesimo giorno insensato in una società servita/asservita dalle macchine. Il sole sempre più alto nel cielo opaco si fa sentire con un’inaspettata velocità in aumento nel ritmo, tra distorsioni ambientali collocabili tra il dark-ambient più canonico e le scariche chitarristiche di una tempesta strumentale screamo. Nel mentre che le masse si avviano al lavoro, nella piena convinzione del progresso come senso dell’esistenza, la conclusiva “Ode” riporta per un istante alla scena del locale notturno, mentre un inserviente ripulisce i tavoli, un orologio a molla dalle lancette immobili giace abbandonato sul pavimento, ultimo strumento artificiale dipendente dall’uomo per funzionare.
I 124C41+ esplorano un terreno già calpestato dal metal in molte forme (si vedano i recenti lavori di Kreng e Amenra), provenendo tuttavia da un sentiero diverso. Il risultato ha connotazioni originali, riuscendo a tenere vividi gli scenari evocati, malgrado il genere tendenzialmente claustrofobico. Un primo disco paradossalmente già maturo, un debutto consapevole che attende solo un degno seguito, capace – si spera – di non adeguarsi al resto ma di mantenere memorabili le proprie origini.
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autore: Gabriele Senatore