Esordio discografico per questo giovane duo newyorkese formato da Sarah Nowicki (voce, chitarra, computer) e Matthew Robinson (violoncello, computer), cui poco dopo l’uscita del disco s’è aggiunta Heidi Sabertooth (beat machine, synth).
I 10 brani di Delta Sands esplorano una nebulosa ed interiore dimensione ambientale a tratti evanescente, rallentata e psichedelica per poi aprire tra echi elettronici e ritmi tribali rallentati degli scenari ritmici più concreti, new wave ed in un paio di episodi post folk, e questo particolarmente su disco, mentre il loro live set, che abbiamo avuto modo di seguire nella recente tournée italiana del Maggio 2015, mostra ancor più originalità accentuando la vena sperimentale e digitale.
In brani come ‘Personal‘ la forma canzone è più rispettata, ricordandoci un po’ le composizioni di Lisa Germano, ma non è qui che gli Opal Onyx esprimono il meglio di sé; sovente invece emergono scenari spirituali futuristici, sintetici, caratterizzati ad ogni modo da suoni controllati in cui la voce lirica della bella Sarah Nowicki si esprime in libertà, e l’effetto ci ricorda Dead Can Dance, Sigur Ros e Thom Yorke… ed è qui che si coglie il senso del progetto Opal Onyx, la cui musica parla della condizione dell’uomo moderno accerchiato da una dimmensione digitale, nella continua indecisione tra tuffarvisi dentro e tornare indietro.
Il successo che Opal Onyx sta raccogliendo con questo disco e con i successivi concerti ci testimonia di come la psichedelia della East Cost americana sia profondamente mutata con la società nel corso dei decenni, abbandonando l’inattuale narrazione anfetaminica e nevrotica d’un tempo, un po’ fine a sé stessa, resettando e tornando ad interrogarsi sull’aspetto interiore e valoriale, vera lacuna alla base della crisi della società occidentale.
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autore: Fausto Turi