Spesso il rock italiano indipendente si rivela carino ma inconcludente, incapace di sintonizzarsi sulla realtà quotidiana dei ragazzi, che finiscono col seguire la musica solo come via di evasione.
Non può certo essere il caso di Gli Ebrei, band di Fano che canta in italiano e con grande facilità, e parecchio rumore, racconta la noia e la rabbia giovanile in questo disco formidabile, carico di istinto e sbavature di ogni sorta, ma anche di una verità disarmante.
Undici canzoni, tutte perfettamente riuscite, costruite su chitarre violente e dal suono spesso disordinato e selvatico – il missaggio dei brani, ammesso pure che ci sia stato, avrà seguito l’imperativo di mantenere il tono lo-fi dell’incisione – tra One Dimensional Man, Six Minute War Madness e Massimo Volume, con parole graffianti – molto suggestivo l’innesto delle parole di Pier Paolo Pasolini, tratte da un’intervista Rai di circa 60 anni fa, in cui il poeta, con fulminante lucidità, smaschera il pericolo che la televisione possa divenire strumento di condizionamento della volontà – ed un malessere che cerca sfogo senza trovarlo.
Undici brani per circa 22 minuti di durata complessiva del disco di Matteo Carnaroli, Andrea Gobbi, Alessandro Ferri e Tommaso Alberici, con le 5 tracce iniziali che vanno diritto filate tra le cose migliori del rock italiano recente, e non regge l’unica critica che timidamente si sta muovendo alla band, di essere cioè troppo sicura di se e autoreferenziale, perchè queste sono doti di cui il rock italiano ha invece dannatamente bisogno.
Autore: Fausto Turi