Pazzi di musica: non si trova altro modo per definire i Parquet Courts, frenetico quartetto di texani trapiantati a Brooklyn che dal 2011 fanno furore nella grande Mela a colpi di album azzeccati ed EP spiazzanti, tutti grintosamente suonati miscelando garage-rock e post-punk, con centinaia di influenze e richiami nascosti.
Iniziano nel 2011 con American Specialties, un EP a tiratura limitata, un vero e proprio esperimento per poi lanciare Light Up Gold, per la Dull Tools, in sole 500 copie, e poi ristampato l’anno dopo con Rough Trade.
Andrew Savage (voce, chitarra) e Austin Brown (voce, chitarra), con Sean Yeaton al basso e Max Savage alla batteria, fratello del leader, fanno esplodere in questo esordio le sei corde, mescolando melodia volutamente stonata con intensità punk. Segue un nuovo Ep, Tally All The Things That You Broke, e poi Sunbathing Animal, del 2014, e poi l’anno dopo ancora Monastic Living, e ancora nel 2016 Human Performance.
Qualunque altra band si sarebbe fermata e invece nel 2017 esce un lavoro sperimentale con Daniele Luppi, Milano, con Karen O degli Yeah Yeah Yeahs, e un lavoro solista di Andrew Savage, Thawing Dawn, fino ad arrivare a oggi con Wide Awake!, sempre per l’ormai fedele etichetta Rough Trade.
Un album e più all’anno: un’autentica furia compositiva, insomma, che trova il suo contraltare perfetto anche nel modo di suonare e cantare: tutto sembra frenetico, tutto volutamente spiattellato, come nel più energico dei punk anni ’70, con lo scimmiottare di linea di canto di Joe Strummer dei Clash. Così Total Football, il primo pezzo, e Violence, ci introducono al mondo senza freni dei Parquet Courts, dove però la sfuriata punk è solo per l’ascoltatore l’iniziale approccio.
In realtà i Parquet Courts sono una delle più riuscite e incredibili miscele di stili e reminiscenze che si possa trovare in circolazione: ci trovi i Clash, certo, ma anche Sonic Youth, Modern Lovers, Pavement, Red Hot Chilli Peppers, e tanta tanta eco dei Talkin Heads dei primi dischi (come non notarlo in Wide Awake che recupera anche l’ascendenza etno della band di David Byrne, e in Normalization?) e si potrebbe ancora pescare altrove.
Si tratta di una vera e propria centrifuga musicale, che in qualche modo vuole forse rendere omaggio al crogiolo per eccellenza, quella New York dai mille stili musicali (punk, garage rock, ma anche glam-rock a tratti e rock-blues classico stile Stones) a cui i quattro senza dubbio si ispirano.
Danger Mouse, il produttore, ha capito bene l’essenza della band e sembra qui più che dirigerli farli sfogare, e infatti i quattro suonano e cantano con intensità da ultimo album prima di morire. Vi sono in effetti delle pause di ritmo (le cose poi meno riuscite del disco), come l’ipnotica Before the Water gets too High, la stranamente romantica e dolce Mardi Gras Beads, Death Will Bring Change e Tenderness, ma in generale la furia compositiva si svolge lungo pezzi veloci, dinamici, intensi e brevi, non oltre i tre-quattro minuti, dove però le trame musicali sono tutt’altro che semplici lineari e emotive come nel classico punk. Basti pensare ai cambi di ritmo e melodia di Almost Had To Start A Fight / In And Out Of Patience, o a come emerge violenta dall’intro Total Football, o alla batteria di Tenderness, pezzo dal ritmo blando ma tra i più complicati tecnicamente.
Freebird 2 cita i Rolling Stones, mentre Normalization sembra voler a tutti i costi combinare Red Hot, Talking Heads e Clash. Immediatamente dopo la sfuriata di chitarra e batterie di questo pezzo notevolissimo, tutt’altra musica, tutt’altro genere con Back to Earth, che rende omaggio ai sixties psichedelici. Extinction e NYC Observation sterzano di nuovo sui Clash e Pavement, ma non prima che Extinction riesca a citare anche un po’ di surf rock e più alla lontana i R.E.M.
Che altro si può dire di questo disco, che si offre all’ascoltatore come una sorta di enciclopedia musicale della New York e di tutta l’America di tre decenni (’60, ’70 e ’90) ? Non vi innamorerete della voce aspra di Savage, né delle chitarre troppo primordiali dei due chitarristi, ma rimarrete incantati dall’operazione complessiva, e dalle mille sfumature di questo disco ruvido, che non lascia spazio a elettronica e computer, ma che forse proprio per questo incarna un lato dell’essenza irresistibile e senza tempo del voler fare musica. A tutti i costi e senza limiti e freni.
http://parquetcourts.wordpress.com/
autore: Francesco Postiglione