Carlo Veneziano e Franz Valente, rispettivamente chitarra e batteria dei One Dimensional Man, progetto musicale nato nel 1996 attorno alla figura di Pierpaolo Capovilla, si sono resi disponibili per un’intervista sull’ultimo lavoro del power trio veneto. Con “You don’t exist” sono in tour promozionale che li vede impegnati in tutto il paese.
Come mai a differenza di “A better man” siete tornati alle chitarre e avete del tutto abbandonato l’elettronica?
F: L’elettronica c’è anche in questo disco ed è stata affidata a Tommaso Benedetto che ha aggiunto al finale di American Dream dei “War Sounds”, ma è stata solo una parentesi. In questo album le parti di elettronica non avrebbero trovato un incastro. Abbiamo preferito restare fedeli alla forma del “power trio”. Chitarra, basso e batteria che è sempre stato il marchio di fabbrica di One Dimensional Man. Senza usare gli artifici del computer. Da parte nostra c’è un forte bisogno di ritorno alla natura, abbiamo un approccio molto fisico con lo strumento quando suoniamo. Il nostro suono sta nelle nostre mani.
Questa formazione è quella definitiva o questo progetto subirà ancora dei cambiamenti?
F: Siamo tutti in movimento e in continua trasformazione.
E’ ovvio che non andremo avanti in eterno, le cose van prese nel momento in cui esistono. Ci sono band che vale la pena vedere dal vivo e dal vivo noi diamo il massimo. Per noi è il palco il nostro habitat naturale. Il disco è una foto che resterà per sempre invariata.
C: Per quanto mi riguarda non c’è mai niente di definitivo. Dovesse rimanere questa identica formazione per altri dieci anni, non sarebbe comunque la stessa cosa.
I ODM sono un progetto aperto, una costola del TDO o un progetto musicale di Capovilla?
F: Tanto per non fare confusione, One Dimensional Man è un progetto nato da un’idea di Pierpaolo nel ’96. Ha una storia più lunga del “Teatro degli Orrori”. One Dimensional Man é sempre stato un power trio rock noise, cantato in inglese.
In “You don’t exist” sembra che abbiate avuto l’esigenza di riprendere buona parte delle sonorità noise e urticanti del progetto Buñuel, era una vostra esigenza?
F: Inevitabilmente la scrittura del disco è stata molto simile. La formula è sempre la stessa. Lo stile chitarristico di Carlo ha fatto la differenza e il risultato è carico di un’altra energia.
Come mai in questo lavoro non c’è l’ombra di Favero?
F: Abbiamo passato tanto tempo in sala prove prima di andare a registrare e avevamo le idee ben chiare del risultato che volevamo ottenere in studio. Per
come è nata l’idea di questo album non avevamo bisogno di un produttore. Abbiamo deciso di affidare la registrazione a Federico Grella nel suo Dirty Sound Studio a Legnago. Cercavamo una situazione easy e fresca. Con lui avevo già collaborato nel mio progetto Lume: è un ottimo sound engineer, pragmatico e razionale, ma soprattutto un collaboratore che sa trasmettere serenità, indispensabile quando si lavora a ritmi serrati. Tutto questo ha contribuito alla spontaneità del risultato, un disco punk, sincero e senza troppe pretese.
Il noise catastrofico in coda a “The American dream” indica i danni fatti dagli Usa al resto del mondo?
F: C’è un punto in cui la struttura del brano diventa un dirupo, dove non si può più tornare indietro ed è quello il punto da raggiungere.
C: Il brano allude alla storia degli USA, presa come esempio per denunciare il processo di decadenza della società occidentale.
Quanto è necessario per il gruppo esprimersi con l’irruenza noise?
F: L’irruenza noise è nella nostra natura, non possiamo fare a meno di manifestarla. Ma è anche una questione politica. Il mercato è saturo di band pulite, ben confezionate, a volte con grandi produzioni alle spalle, ed è per questo ancora necessario mantenere in vita un certo “antagonismo” sonoro. Penso che in tanti pensano di avere il totale controllo del computer per arrivare ovunque, invece ne sono succubi. La cosa più importante è l’ idea che sta dietro ad un progetto ed essere coerenti.
C: La componente noise è quella che ci permette di esprimere gli aspetti più drammatici delle nostre canzoni: disagio, rabbia, riscossa, violenza, odio… sentimenti intensi che ci piace esprimere con sonorità altrettanto intense. Per noi è esaltante poter evocare, specialmente dal vivo, lo schianto di un tuono, una bufera, un treno in corsa, una valanga che ti sta raggiungendo.
https://www.facebook.com/onedimensionalmanofficial/
autore: Vittorio Lannutti