Chiunque sappia qualcosa di musica elettronica, in generale della musica degli anni ‘90 o abbia anche solo per sbaglio ascoltato qualcosa da Invaders Must Die, l’album di dieci anni fa che fu un grosso successo commerciale anche in Italia, sui Prodigy saprà dire “sì, quelli che fanno elettronica rock”. I Prodigy sono sempre stati il gruppo di musica elettronica che ascoltano anche i rockettari, perché ci sono le chitarre e le batterie suonate, perché c’era quello coi capelli da psyco clown che cantava come un Johnny Rotten uscito da un rave in un capannone industriale a inizio anni ‘90 invece che dalla Londra del 77, perché in quegli anni non potevi ignorare i video-scandalo di ‘Firestarter’ e ‘Smack My Bitch Up’.
Chi è cresciuto negli anni ‘90 frequentando la scena rave non potrà non ricordare l’impatto artistico e poi anche commerciale dei Prodigy, contestualizzandolo in un fermento che ha rappresentato una delle ultime grandi rivoluzioni (sotto)culturali nate dalla musica: occupazioni temporanee illegali, esplorazione degli stati di coscienza alterati, antiautoritarismo, la musica e la danza come potenza liberatoria, distruttrice e creatrice di nuovi orizzonti abitati da nuove menti. La scena dance, soprattutto quella inglese, è la figlia sintetica del punk e del movimento hippy, e i Prodigy sono fra le sue espressioni più originali e durature.
Per chi è venuto dopo, in un’epoca in cui le barriere fra generi musicali e le distinzioni fra sottoculture non hanno più molto senso, potrebbe essere più difficile afferrare l’unicità dei Prodigy e la loro importanza per la musica degli ultimi 20 anni.
In un movimento come quello rave, che prendeva tanto come attitudine dai movimenti musicali precedenti ma che musicalmente aveva fatto piazza pulita del rock e di tutto quello che era venuto prima a suon di acid house e techno, i Prodigy di Liam Howlett, Leeroy Thornill, Maxim e Keith Flint erano quelli che l’urgenza del punk e la fisicità del rock l’avevano portata nei loro live e nei loro dischi. Dopo un esordio più propriamente hardcore , ‘Experience’ (ma già sporcato dal dub di ‘Out of Space’, costruito su un campionamento del classico reggae ‘Iron Shirt’), a partire dal secondo ‘Music for the Jilted Generation’ i Prodigy iniziano a creare un cocktail intossicante di bassi e synth acidi, chitarre distorte, breakbeats funk di batteria, voci pitchate e brandelli di rap. Il tutto sputato in faccia a quel sistema che, al grido dell’allarme droga, della difesa della proprietà privata e della sterilizzazione dello spazio pubblico, in quello stesso 1994 aveva dichiarato guerra al movimento rave tramite un apposito intervento legislativo: ‘fuck them and their law” è la risposta che arriva dalla musica per la generazione abbandonata, la generazione X che in quello scorcio di fine millennio provava a ribaltare il tavolo attraverso un concetto nuovo di musica e aggregazione.
‘Big beat’ è il nome che i critici iniziano ad usare per definire questo particolare tipo di dance music e la sua miscela di suoni, maneggiata non solo dai Prodigy ma anche da altri nomi come Fatboy Slim o i Chemical Brothers. La band capitanata da Liam Howlett è però quella che più si impegna a portare in mezzo a sample e synth l’estetica rock, anche nella sua dimensione performativa più classica, quella della canto, soprattutto a partire dal terzo album, The Fat Of The Land, vero caposaldo del genere.
E Keith Flint era il volto e la voce di questo processo di ibridazione. Capelli rasati al centro, piercing, choker, tatuaggi e eyeliner, maglietta a stelle e strisce, movenze inquietanti mentre al centro di un tunnel mentre guarda in camera e ci dice di essere ‘trouble starter, pukin’ istigator, danger illustrated, the bitch you hated’: ‘the firestarter’. Firestarter appicca davvero un incendio, è la miccia che fa esplodere ‘The Fat Of The Land’ in tutto il mondo e lancia l’assalto dei raver ribelli al mainstream musicale. Quel video angosciante, come quello dell’altro singolo ‘Smack My Bitch’, solleverà proteste e indignazioni per violenza, volgarità e istigazione all’uso di stupefacenti, ma soprattutto rimarrà impresso a vita negli occhi di chi ha la fortuna di incapparci in tv, repellente e irresistibile allo stesso tempo.
Fat Of The Land è il primo disco dei Prodigy ad avere delle vere e proprie linee vocali, il rap di Maxim e la voce sguaiata di Keith Flint. Eppure i due sono nella band dal primo momento, come ballerini insieme a Leeroy Thornill, al fianco del mastermind musicale Liam Howlett. Sono però una parte fondamentale del progetto, ed è proprio Keith a convincere qualche anno prima il Dj Liam Howlett, che seguiva nella scena rave dell’Essex. Non c’è molto da stupirsi se nel processo di ibridazione fra elettronica e musica suonata che la band porta avanti, la sua vocalità, immagine e attitudine punk/raver trovino sempre più spazio.
Keith bercia col suo accento british in Firestarter, sul glaciale giro di chitarra della classica Breathe insieme a Maxim, sulla minacciosa Serial Thrilla e su Fuel My Fire, puro grunge/punk vestito di elettronica. Ma l’album va ben oltre gli exploit vocali del biondo (o verde) vocalist: in Smack My Bitch Up è una banger con un climax senza paragoni, Funky Shit è un trapano nell’orecchio, Mindfields funk ansiogeno; sul versante trippy, Climbatize apre una finestra su paesaggio psichedelico disegnato da bassi pulsanti e pseudo-fiati ancestrali, Narayan un mantra trascendentale di nove minuti da cui è difficile riemergere lucidi.
Al botto di The Fat Of The Land segue un periodo di stop, con l’uscita di Flint e Maxim dal gruppo. I due rientrano per l’uscita di Always Outnumbered, Never Outgunned, un album che prova a stare al passo coi tempi implementando un maggior uso di rap e ritmiche hip hop. Al netto di qualche pezzo riuscito particolarmente bene, vedi ‘Girls’, si tratta sicuramente dell’uscita meno convincente del gruppo, conseguenza di un momento di incertezza nell’adattarsi al nuovo decennio dopo aver pubblicato una pietra miliare di quello precedente.
Passeranno 5 anni fino all’uscita discografica successiva. Invaders Must Die è un album che non sembra scritto da un gruppo esploso più di dieci anni prima e che sembrava già aver perso smalto: la formula di Liam, Keith e Maxim è aggiornata rispetto ai ‘90, suona più electro-rock, fresca e contemporanea, ma ha l’inconfondibile marchio Prodigy stampato addosso. Anche qui Keith ha un ruolo da protagonista, questa volta quasi sempre insieme a Maxim e su strumentali che vedono un uso più generoso di chitarre. La loro voce è sul macigno ai limiti del metal Run with the wolves, con l’ubiquo Dave Grohl alla batteria, sulle euforiche tirate dance punk Piranha e Colours. Soprattutto, a diventare degli istant classic sono la sgangherata Take Me To The Hospital e Omen, xylofono synth e chitarra alleati per un inno da cantare col pugno in aria.
Trainato anche dal singolo omonimo, ai limiti fra la dance tamarra e l’impatto rock, Invaders Must Die fa conoscere i Prodigy ad una nuova generazione di ragazzi e ragazze che nel 1997 di Firestarter erano solo bambini.
Chi scrive li conosce proprio in quegli anni e rimane folgorato tanto dagli album in studio quanto dal devastante live del 2009 al Neapolis Festival di Napoli. Il tour di IMD restituisce tutta la potenza della band, con luci e scenografia imponenti a fare da sfondo al rock show di chitarra e batteria e alle performance da cantanti e intrattenitori di Maxim, l’anima più aggressiva, calci tirati all’aria e sguardo truce, e Keith, l’anima rave e festaiola, ma anche la voce protagonista di alcuni dei momenti più incendiari.
Pur non sparendo mai dai palchi, i Prodigy ci metteranno un po’ a tornare in studio. The Day Is My Enemy arriva nel 2014, per la prima volta scritto a sei mani con i due cantanti/ballerini. L’album riceve buone recensioni, trainato da singoli efficaci come Nasty, la title-track, Ibiza (con gli Sleaford Mods) e Wild Frontier vende bene, ma risulta nel complesso un album più debole e meno longevo del suo predecessore. E’ quindi con positiva sorpresa che viene accolto ‘No Tourists’, uscito a novembre 2018 annunciato dall’adrenalinico singolo ‘Need Some1’. Intendiamoci, in ‘No Tourists’ la formula Prodigy è presentata senza troppi fronzoli e sforzi in termini di innovazione: batterie e bassi devastanti, riff lanciati in faccia all’ascoltatore con prepotenza e ignoranza, le solite melodie e i soliti suoni ‘alla Prodigy’, le liriche urlate sul beat, il tutto con una produzione tirata a lucido e updatata al 2018. Liam e soci fanno quello che sanno fare, ci dimostrano che in questo gioco non sono i turisti della dance (per parafrasare il nostro ex Presidente del Consiglio), quelli della chiavetta USB e dei preset. Nel fare questo riescono a divertire con una serie di brani che non avranno lo stesso appeal di 20 o anche 10 anni fa, ma riescono ugualmente a esaltare come poco altro sulla piazza. Champions of London, Fight Fire With Fire con i spettacolari Ho99o9, Boom Boom Tap, Light Up The Sky sono concentrati di energia, cannoni caricati in attesa di fare fuoco sul dancefloor nel tour che è seguito nei mesi successivi.
Purtroppo il tour si è interrotto prima del previsto e questa sarà l’ultima uscita dei Prodigy, almeno con questa formazione, perché Keith Flint si è spento ieri nella sua casa di Great Dunmow, probabilmente suicida. Ne danno l’annuncio stamattina il compagno di squadra Liam Howlett, poi la band stessa, comprensibilmente sconvolti. Come sempre in questi casi, oltre che alla fine di un percorso musicale fondamentale per milioni di ascoltatori, il pensiero va alle difficoltà che si nascondono nelle vite di personaggi mitici, icone che facilmente consideriamo ‘riuscite’ e protagoniste di una vita di trionfi, probabilmente banalizzandole e schiacciandole nelle due dimensioni della loro musica e della loro immagine.
Difficile dire se sapremo qualcosa in più delle vicende dietro il decesso di Keith Flint. Ci rimangono di lui canzoni memorabili e un’attitudine iconica che ha segnato l’immaginario e la controcultura di massa degli ultimi 25 anni.
Rave in peace.
http://www.theprodigy.com
https://www.facebook.com/theprodigyofficial/
autore: Sergio Sciambra
The Prodigy – Smack My Bitch Up – DVD edit from The Prodigy on Vimeo.
The Prodigy – Poison – Glastonbury 2009 from The Prodigy on Vimeo.
The Prodigy – Firestarter from Ocarina Too on Vimeo.