Festival di arte elettronica in Italia se ne vedono sempre di più e sono sempre più contaminati da ibridi audio/video/foto/teatro/design e chi più ne ha più ne metta.
Il festival come luogo d’incontro di idee, di innovazione, di roba nuova, insomma….
Le aspettative dunque erano altre e poche parole basteranno per dire che sono state in parte deluse.
Netmage 2006, Bologna, Gennaio, la location regale è davvero suggestiva…Palazzo Re Enzo ha tutte le carte in regola: spazi grandi ed accoglienti, suggestioni medievali.
L’organizzazione è di Xing (www.xing.it), network culturale di base a Bologna e Milano non nuovo a questo genere di eventi.
Il festival vuole quest’anno travalicare gli spazi del live media floor per essere insieme una mostra e un “temporary club” conquistando varie stanze del palazzo, 3 sale per altrettanti spazi concettuali…
Live media floor è ospitato in quella che un tempo doveva essere la sala da ballo di Re Enzo. Il soffitto altissimo è l’ideale per posizionare tre grandi teli che dividono l’immenso salone in tre zone e su cui vengono proiettati i live visual degli artisti ospiti del festival.
Tra i tanti presenti parlerò solo di quelli che hanno colpito maggiormente la mia attenzione lasciando volutamente da parte gli altri che rientrano a pieno titolo nel mood del festival senza regalare nessuna forte sensazione.
Sicuramente Cineplexx/aBe (Arg/E) con la “Danza de los Cacahuetes magneticos” riescono per primi a far distogliere la mia attenzione dal banchetto dei dischi e dall’immenso rumore di fondo delle persone che a momenti copriva persino la musica. (molta gente sembrava capitata lì per caso….)
Trasmettono sensazioni antiche con i loro video super 8 di paesaggi malinconici.
Andrea Dojmi/Port Royal (I) propongono “Project for Children”, un progetto audiovisuale che ha come tema principale l’universo dei bambini, dai giochi agli animali.
La musica è molto d’ambiente con leggere sferzate di beat asincroni e accompagna lo scorrere di immagini tenere e dolci seguite dalla bruttura degli esperimenti sugli animali.
Dopo di loro c’è una grande aspettativa, suona Arto Lindsay, che ha fatto la storia della no-wave americana, un mito in carne e ossa insomma.
Leggo l’articolo su quel movimento musicale su una fanzine che ho appena preso. Lo faccio mentre lui “suona” una chitarra dalla forma strana sulle immagini proiettate di un dvd.
La performance è scandalosa per me, un non-sense irritante e a tratti ridicolo (cerca di salire sull’amplificatore e rischia una gran brutta caduta…).
Fa rumore violentando le corde senza accennare uno straccio di melodia.
E’ molto serio in questo suo modo di fare e mi fa pensare alla registrazione di una performance di avanguardia seventies riproposta in un contesto dove più nessuno si stupisce e dove mi sembra si stia ribaltando il ruolo dell’“artista che prende per il culo il pubblico”.
Sinceramente preferisco continuare a leggere la mia fanzine fino a quando abbandono il campo per sfinimento. Serata conclusa.
Il giorno dopo sia Boris e Brecht Debackere (B/NL) che Claudio Sinatti e Pierpaolo Leo (I) ci regalano una lezione di utilizzo delle nuove tecnologie di manipolazione video e audio.
Entrambe le performance sono caratterizzate dal morphing di una singola immagine che diventa l’unica deformata protagonista dello show.
La musica è funzionale agli stimoli visivi forniti dalla location e dagli schermi.
Conclusa la performance dei nostri connazionali tocca alla seconda guest star della rassegna focalizzare l’attenzione del pubblico, accorso in congrue quantità.
Alva Noto, che qui si presenta col suo vero nome Carsten Nicolai, non poteva e non mi ha deluso.
Il set è minimal ma di grande effetto perché mi permette di assaporare la perfetta sintesi tra audio e video…pura e magica ipnosi.
Beat mutevoli fanno da contraltare alla proiezione di un analizzatore di spettro bianco su nero che dopo un po’ si ribella alla sua funzione lineare per diventare geometria descrittiva.
Come potrei definirla se non “matematica visiva”?
La sua austerità fa placare anche il vociare degli avventori, regalandoci finalmente la possibilità di ascoltare bene un set che rapisce la nostra attenzione.
Lì sul palco ha una faccia luciferina ma lo rivedo al bar subito dopo e mi sembra simpatico.
Dimenticati i fasti (e non …) musicali ricordo che il festival si propone anche come una mostra. Mi colpisce tanto l’installazione fissa (continua per tutta la durata del festival) di Carola Spadoni (I) con musiche degli ZU (I).
“Live trough This” esprime la doppia connotazione della parola live del titolo.
In una saletta buia si affiancano tre grandi schermi di cui il centrale è occupato da immagini in bianco e nero di 2 coppie che fanno l’amore sullo sfondo di un paesaggio sabbioso e lunare mentre gli altri due proiettano immagini del pubblico tratte da uno o più concerti degli Zu.
Mi fermo ad osservare anche “Studies for a portrait” del gruppo di teatro Zimmerfrei (I) che è un esperimento di contaminazione tra audio, video e teatro.
Una sorta di ritratto in movimento .
Sono molto interessanti anche gli appuntamenti pomeridiani dei Forum ed in particolare quello organizzato dalla rivista “Domus”, la quale tenta di dare una panoramica aggiornata sulla sperimentazione audiovisuale in Italia rispetto al resto dell’Europa, dove già negli anni sessanta esistevano movimenti artistici d’avanguardia mentre qui da noi la sperimentazione era spinta solamente da industrie illuminate come la Olivetti dell’epoca.
Conclusa l’avventura bolognese mi tocca di nuovo affrontare paesaggi innevati e treni in forte ritardo….Cosa si può dire??
Sicuramente eventi di questo genere fanno bene alla cultura però mi stupisce come tante persone abbiano gradito performance come quella di Lindsay.
A mio modesto parere la ricerca di una cultura sempre più di nicchia è un must nella nostra nazione elettronica e non una vera e propria passione…..Naturalmente parere personale, nessuno si offenda…
Autore: Brandy Alexander
www.netmage.it