L’Angelo Mai è un grande contenitore di latta con bagni chimici e un bar dal bancone poco accogliente e prezzi direttamente proporzionali a questo momento di crisi. L’impatto non è dei migliori (gli ultimi concerti rock ho avuto il piacere di seguirli in cornici prestigiose, come l’Auditorium, il Circolo degli Artisti, l’Init e il Lanificio), ma sappiamo che, sempre per merito della crisi, il gusto estetico dev’esser messo da parte per dare spazio ai contenuti. E l’Angelo Mai ha superato l’esame contenutistico: valido impianto, sala capiente, gestione del pubblico e dello stato emotivo eccellente, se non pensiamo allo splendido parco dell’Appia Antica che ha il piacere di ospitare la struttura. Un mix di situazioni insolite, sorprendentemente riuscito.
Salgono sul palco Eugene Kelly e Frances Mc Kee, in splendida forma nonostante gli anni passino per tutti. Li accompagnano, Bobby Kildea e Stevie Jackson dei Belle And Sebastian, creando la perfetta unione tra la Glasgow degli anni ’80 e quella dei giorni nostri.
Pensavo, immaginando il concerto, che l’abbinamento fosse stato scelto per questioni commerciali. “I Belle And Sebastian – mi sono detta – chiameranno un grande pubblico”. Non immaginavo che il loro spessore (se non dal punto di vista squisitamente musicale) non si sarebbe avvertito. Pensavo che fosse una questione di forma, mentre invece è rimasto il peso della sostanza. Mi sbagliavo, nuovamente.
Aprono il concerto con “Ruin”, la prima traccia dell’album “Sex with an X”, uscito nel 2010 dopo svariati anni di silenzio, e iniziano il loro spettacolo: colori, suoni, luci, riff di chitarra, momenti più lenti, momenti country, momenti revival. “Jesus Don’t Want Me For A Sunbeam” è un tripudio, tutti la conoscono, molti si guardano e si chiedono perché: Kurt Cobain l’aveva inserita nell’album “MTV Unplugged in New York”.
In definitiva, rock puro, quel rock che nel 1986 poteva sembrare scontato e comune, ma che oggi diventa una perla rara, un momento di riflessione. Tracce lente, poche, e altre brevi, veloci, ballabili. Penso a Son of a Gun e a Sex with an X, dagli omonimi album, ma anche a “You Think you’re A Man”, a chiusura del bis.
Ci sono, dentro le sonorità dei The Vaselines, tutti gli anni ’80, e i ’90, la semplicità di testi brevi e ripetitivi che lasciano spazio al suono, all’interpretazione vocale, alla musica, al rock, senza fronzoli, tatuaggi, cravattine né camice hawaiane.
Contenuti, in definitiva.
Autore: Serena Ferraiolo – foto di Roberto Panucci
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