In un’ideale anagrafe degli italiani “incidenti” all’estero va inserito (con valenza retroattiva a far data già da qualche anno) questo duo di “ambasciatori” nostrani dell’alt-country. Non ce n’eravamo accorti, ma i due, oltre che pionieri di questa musica nella penisola, godono di maggiore popolarità, più che qui, proprio nella patria di tale genere.
Già in tour negli States, dove hanno potuto usufruire del pubblico di piccole-grandi stelle locali, i Satellite Inn sono riusciti anche a fare degli album, prima per la MoodFood (dove hanno rimpiazzato i Whiskeytown di Ryan Adams) e ora per la Bloomfield, che pubblica oggi quelle che sono nate come session radiofoniche presso la AWR (stazione radio, di Forlì però).
Alt-country o qual’altra convenzione terminologica si voglia adottare, è bene precisare che Stiv Cantarelli (la cui voce fa pensare a uno “scippo” di corde vocali ai danni di Billy Corgan) e Dario Neri sono ben lontani dalle vere e proprie “roots” musicali della nazione americana. Nelle “AWR Sessions” non trovate primitivi “breakdown” di banjo né violini da orchestrina ambulante alle pendici degli Appalachi. Un’occhiata alla strumentazione per rendercene conto: piano, lap steel, armonica. Da Neil Young e Bruce Springsteen in giù, la musica di questo duo richiama alla mente quello di chi ha utilizzato il sound delle radici per modellare il proprio, senza però proiettarsi in arditi compromessi con la tecnologia.
I risultati, nella fattispecie, non sono granchè lusinghieri. I Satellite Inn restano ancorati a un folk-rock acustico eccessivamente “tipico”, non privo di qualche “scossa” elettro-rumorosa (‘Makes No Difference, Now, ‘Silent Town’, ‘Desert Tripping’, la cover di ‘I Wanna Be Your Dog’) ma carente sul piano dell’afflato emotivo che non riesce ad acquisire il sentire degli “indigeni”. Problemi di origine? Sicuramente, ma se non sapessi che sono italiani la mia opinione non cambierebbe.
Autore: Roberto Villani