Malinconia, rabbia, nostalgia e frustrazione, questi sono i sentimenti che inevitabilmente emergono quando parte “Coma girl” la prima canzone di “Streetcore”. Si, perché al pensiero che il grande Joe Strummer sia deceduto quel maledetto 22 dicembre del 2002, mentre altra gentaglia continui non solo a campare, ma addirittura a fare danni, non può che lasciare un grande amaro in bocca. “Streetcore”, infatti, è l’album postumo di Joe Strummer con il suo nuovo gruppo The Mescarelos, con cui circa sei anni fa decise di riprendere in mano la chitarra, entrare in sala d’incisione e fare un tournèe, nelle quali riportò dal vivo alcune delle più belle canzoni dei Clash e quindi del rock. Chi era a Bologna nel ’98 all’Indipendent Day, come il sottoscritto, è stato fortunato, poichè è stata l’ultima volta che è venuto in Italia. In “Streetcore” Joe e i Mescarelos passano in rassegna vari generi come il reggae, il blue e il folk, dando al Cd una linea unica e completa, in quanto le 10 canzoni trovano comunque un filo conduttore. La “Redempion song” di Bob Marley, per esempio, viene spogliata del ritmo in levare per trasformarsi in un folk degno dell’ultimo Johnny Cash, spiccano poi il quasi combat rock di “Arms aloft”, nel quale troviamo un Joe molto carico e la rivalsa di “Burnin’ streets”. Accattivante è “Coma girl” che parte con un leggero reggae per trasformasi in una ballata simil Pogues. In fondo “Streetcore” non è soltanto un disco per nostalgici.
Autore: Vittorio Lannutti