Decisamente calati in un immaginario britannico anni 60-70, come si può vedere già da certa iconografia contenuta nell’immagine di copertina scelta per questo disco d’esordio, che giunge dopo un EP del 2008, i Faz Waltz irradiano intorno a loro coloratissime vibrazioni glam e merseybeat – dunque fortemente retrò, ma che piaceranno anche a chi ascolta il moderno brit pop, provare la tenera ‘Litle Girl Star’ per credere – e lo fanno con delle buone melodie seppure su un tessuto sonoro robusto, hard rock.
Il piano elettrico, il mellotron e l’harpsicord del leader Faz La Rocca si fanno sentire, dividendo un ruolo centrale con le due chitarre elettriche e la batteria, mentre in un paio di episodi spiccano vivaci arrangiamenti per archi, che ricreano quell’effetto kitch, sbruffone, proprio dei Guns’n’Roses periodo Use your Illusion, o dei Roxy Music annata 1975, dovuto anche al contrasto con gli assoli di chitarra, e il quartetto italiano, di Cantù, risulta credibile anche negli episodi più freak e mersey, in cui si sentono influenze dei Kinks più barocchi e di Marc Bolan (‘No Fun in Love’, ‘Kingdom of my Dreams’ e ‘Toy Theatre’) e dei Beatles psichedelici (‘Diamond Dust’, ‘la delicatissima ‘Take me Back’), e proprio queste ispirazioni freak li caraterizzano molto, e li differenziano dai più virili gruppi scandinavi degli ultimi anni, tipo Gluecifer, Hellacopters, Demons.
I 12 brani dell’album, tutti cantati in lingua inglese, decollano quando le voci si sovrappongono, i ritmi si fanno più rapidi (il singolo hard rock ‘Hello Mister’, la rollingstoniana ‘Big Mouth’, oppure ‘Never Stop’) oppure i suoni più ricercati, e malgrado il linguaggio musicale sia relativamente inattuale, c’è tanto cuore ed entusiasmo in quest’album, che ci rivela una nuova pattuglia rock del nostro Paese, che è sempre meno la periferia del rock, e partorisce band sempre più valide, capaci di confrontarsi coi giganti scandinavi, britannici ed americani.
Autore: Fausto Turi