Sempre rilevante, meritevole d’attenzione, il lavoro della cantautrice polistrumentista americana Shannon Wright, e questo suo nuovo album intitolato Honeybee Girls contiene 10 canzoni legate tra loro dall’umore umbratile e da una generale tensione romantica che ben conosciamo, che sovente però si apre ad un nuovo languore, ed il cantautorato (post) rock s’alterna alla ballata per chitarra o, più spesso che nei primi suoi dischi, per tastiera.
Troppo spesso superficialmente assimilata alle colleghe PJ Harvey, Lisa Germano, Polly Paulusma, Cat Power o Tara Jane O’Neil, ognuno dei paragoni appare tuttavia superficiale per stigmatizzare la Wright, che dai tempi del bellissimo Flightsafety (1999), da troppo tempo introvabile nei negozi, porta avanti invece un percorso estremamente personale – cosa che va riconosciuta peraltro ad ognuna delle cantautrici succitate -, un percorso tutt’altro che solare e giocoso, ma sempre in evoluzione, che ingiustamente la vede rinchiusa da qualche anno, agli occhi di critica e pubblico, in una nicchia, in un luogo comune, come outsider, o poetessa dark che ha già dato il meglio della propria arte.
E invece Shannon Wright dimostra, anche con quest’album pubblicato nell’autunno 2009, di aver talento, sensibilità ed esperienza, ed ecco infatti ‘Trumpets of new Year’s Eve’, che è un brano rock sostenuto e chitarristico, sattamente come ‘Embers in your Eyes’, che però ha caratura superiore, con una scrittura stavolta assolutamente tipica di S.W., post rock ma anche cantautorale, ed una dimostrazione di abilità chitarristica che vale come ulteriore conferma di quanto già saputo. Ma il cuore del disco è nel trittico centrale ‘Honeybee Girls’, ‘Black Rain’ e ‘Father’, cui s’aggiunge nell’ultima parte dell’album ‘Never Arrived’, ed è un cuore nero come la notte più buia: canzoni in cui le percussioni i ritirano, emergono il piano elettrico e l’organo, i toni si fanno rallentati e in sala d’incisione le luci s’abbassano perchè Shannon ora è nuda. Ballate acustiche più vivaci, ma sempre essenziali nell’impianto, come ‘Strings of an Epileptic Revival’ o il bozzetto di chiusura ‘Asleep’ – che poi è la cover del brano degli Smiths – potrebbe poi degnamente cantari soltanto una Sara Lov (Devics), e così si conclude un disco molto buono e sufficientemente vario, in cui gli arrangiamenti come sempre sono in sottrazione – fin troppo dirà qualcuno – ma la qualità è nello spessore dei suoni, nell’alternanza tra suono e silenzio, e ovviamente nella sensibilità dell’autrice, che arriva nitida dalle casse dello stereo.
Autore: Fausto Turi
www.myspace.com/shannonwright