I Cut, storica rock band di stampo blues-core/garage-punk, con sede a Bologna, ha appena pubblicato in vinile il suo primo live, “The battle of Britain”, frutto di un tour in Inghilterra e registrato da Andrea Rovacchi dei Julie’s Haircut al Pilgrim’s Pub di Liverpool. A questo punto ci è sembrato doveroso fare un bilancio del percorso di questi primi quindici anni di vita del gruppo, ma anche della scena rock’n’rooll italiana ed internazionale, con Ferruccio Quercetti (nella foto), uno dei due fondatori del trio, insieme a Carlo Masu, entrambi alle chitarre e alla voce.
Il trio è completato dal batterista Francesco Bolognini. Quercetti, come Masu, ha mantenuto lo spirito rock’n’roll che lo caratterizza da quando ha iniziato a suonare. Per questo, per i più sprovveduti, ricordiamo la discografia del gruppo affinché possiate andare a cercare i loro dischi: Operation Manitoba (1998, Gamma Pop), Will u die 4 me? (2001, Gamma Pop), Torture – Ep (2002, Gamma Pop), Bare Bones (2003, Gamma Pop), A different beat (2006, Homesleep), Annihilation road (2010, Go Down).
Che cosa pensate della scena garage-punk italiana ed internazionale?
In realtà noi non ci sentiamo associati alla scena garage punk semplicemente perché non suoniamo garage punk. Forse qualche nostro brano può avere dei rimandi a quelle sonorità ma non credo che nessun appassionato di quel genere ci annovererebbe nelle schiere dei gruppi garage italiani e internazionali. Ovviamente amiamo quel suono alla follia e siamo avidi collezionisti di dischi sixties garage ma siamo stati sempre troppo noise per i garage punks e troppo garage per gli amanti del noise. C’è gente che ci considera persino un gruppo indie. In realtà semplicemente siamo un gruppo rock degli anni 2000 poi saranno gli altri ad attaccarci l’etichetta che preferiscono. Detto questo seguo la scena garage e sono contento che ci siano bands che tengono vivo un suono che amiamo.
Quali sono, secondo voi, i gruppi che hanno ancora una credibilità in ambito
garage-punk?
Reigning Sound, The Urges, Ty Segall, Bare Wires, The Oh Sees, Black Lips, King Khan, ce ne sono parecchi anche se non tutti rigorosamente ascrivibili al genere, ma in fondo chi se ne frega. Ah! in Italia, Tunas, The Rippers, Intellectuals, Miss Chain and The Broken Eels, Vermillion Sands e mille altri. La questione della credibilità, se esiste, comunque è estremamente soggettiva…
Come fate ad avere ancora una carica live che molti ventenni non hanno?
Grazie per il complimento. Non so forse è perché per noi poter salire su un palco a suonare la nostra musica rappresenta un privilegio che non si dovrebbe mai dare per scontato. Il nostro sogno è sempre stato poter suonare e non chiediamo altro che questo. L’opportunità di poter comunicare con qualcuno che sia a Londra o a Battipaglia, che siano mille persone o due non di dovrebbe mai sprecare. In fondo è quello che avremmo voluto fare sin da ragazzini e siamo riusciti a farlo. Che senso ha buttare via questa cosa? Io sono fortunato ho avuto l’opportunità di vedere grandi performers come Lux Interior, Jeffrey Lee Pierce, Rob Younger. Gente che faceva il concerto della vita, sempre, anche di fronte a una sala vuota. E’ anche una questione di rispetto nei confronti delle persone che hai di fronte, gente che poteva starsene comodamente a casa e invece ha scelto di venire a vedere te e il tuo gruppo. Non è colpa loro se c’è poca gente, se fuori piove, se è stata fatta poca promozione, se l’impianto fa schifo, se ti fa male lo stomaco… Anzi a maggior ragione se c’è poca gente ti devi impegnare, perché quei pochi hanno avuto le palle di fare qualcosa di diverso rispetto ai loro concittadini e hanno scelto di venire a sentire te. Tu devi salire sul palco e dare il massimo sempre e a queste persone devi far capire che un concerto rock and roll può essere la cosa più eccitante che ci possa essere. Tu gli devi cambiare la vita a quelli che ti vengono a vedere e anche se non ci riesci, pazienza, almeno ci devi provare. A volte è faticoso, durissimo ma non è che stiamo lavorando in miniera…e poi quei tre quarti d’ora sul palco ti ripagano di tutto.
Avete in programma un nuovo disco di inediti?
Certo appena riusciremo a trovare il tempo di lavorare sul nuovo materiale. Nel 2011 abbiamo suonato molto dal vivo e il tempo per scrivere nuovi brani è stato poco. Purtroppo lavoriamo tutti e alcuni di noi “tengono famiglia”, quindi è difficile riuscire a lavorare contemporaneamente sul live e su brani nuovi, visto che noi scriviamo prevalentemente in sala prove, tutti insieme. Comunque sarebbe bello fare uscire il nuovo disco entro il 2012. Personalmente vedo gli ultimi nostri ultimi due album (“A Different Beat” ed “Annihilation Road”) come parte di una piccola trilogia e non vedo l’ora di fare uscire il terzo capitolo.
Come ha reagito il pubblico inglese alle vostre performance?
In genere bene, poi dipende dalle città dai posti. Sai abbiamo fatto quattro tour ormai e in città come Liverpool, Sheffield, Preston, Bolton e Glasgow ci sono gruppetti di persone che ci conoscono e vengono a vederci tutte le volte. La cosa bella degli inglesi è che se anche ti hanno visto un mese prima tornano sempre a sentirti. Sono un pubblico molto fedele e attento, una volta che entri nel loro cuore e gli piaci, gli piaci per sempre. Poi noi, a parte rare occasioni, non è che suoniamo nei posti fighi di Londra tipo Koko o Astoria: i nostri tour si svolgono principalmente nel nord dell’Inghilterra in pub e club popolari in cui trovi l’hipster venuto apposta per il concerto così come il “casual” con la sciarpa della squadra locale, il rockabilly e il reduce del punk, il tipo normale e l’ubriacone di turno. Questa cosa ci piace parecchio perché ci dà l’idea di essere a contatto con la realtà del posto in cui stiamo suonando, piuttosto che aggirarci sempre nel circuito hipster che fondamentalmente è uguale ovunque, in Italia come in UK.
Nei palchi di quale Paese vi trovate maggiormente a vostro agio?
Ovunque ci sia la possibilità di suonare noi stiamo bene. Non esiste tout court un posto migliore di un altro e neppure un pubblico migliore di un altro. Se non riesci a coinvolgere e a colpire le persone con il tuo show la maggior parte delle volte la “colpa” è tua non del pubblico.
Che musica state ascoltando?
Un po’ di gruppi li abbiamo menzionati sopra e poi Black Keys, Obits (grandissimo gruppo che ci sentiamo di consigliare), The Jim Jones Revue, Chain and The Gang, Giuda, Movie Star Junkies, Jay Retard, Kurt Vile, Dirtbombs…oltre a ovviamente tonnellate di soul, blues, rock and roll, punk rock da ogni epoca e ovviamente Hound Dog Taylor, il padre di tutti noi. Houserockers è un disco epocale. Se non ce l’avete uscite subito a comprarlo ma per favore non scaricatelo, non ha senso.
Perché sul live avete scelto in prevalenza brani di “Annihilation road” e
non altri brani più vecchi?
Sono i brani con i quali ci sentiamo maggiormente a nostro agio perché ci rappresentano di più, sono più vicini a quello che ci piace fare ultimamente. Inoltre sono brani già nati e pensati con la formazione a tre, quella attuale, quindi ci risulta molto più naturale eseguirli dal vivo. Penso che i nostri ultimi due/tre dischi siano i migliori che abbiamo mai realizzato ma non escludo che in futuro non si peschi anche nel nostro repertorio pre Bare Bones…
Pubblicherete il live anche in cd?
No, non per adesso, non credo. Ci piace l’idea di un’uscita solo su vinile.
Che progetti avete per la Gamma Pop?
Questa è una domanda che dovresti fare a Filippo Perfido, visto che la rinascita di Gamma Pop è tutta farina del suo sacco. Per quanto riguarda i CUT ci piacerebbe ristampare i nostri primi 4 album che ormai sono tutti fuori catalogo, praticamente introvabili. Inoltre in questi anni abbiamo accumulato anche un bel po’ di inediti, outtakes registrazioni di session in radio e non è escluso che li si raccolga in una specie di “odds and sods” dei CUT.
Pensate che ci sia ancora spazio nel mercato del disco per un’etichetta
indipendente?
C’è sicuramente più spazio per un’etichetta indipendente che per una major oggi. Del resto gli ultimi acquirenti di dischi rimasti in vita oggi sono gli appassionati di musica che spesso seguono e supportano il mercato indipendente. Ovviamente parliamo di numeri infinitesimali ma in fondo è sempre stato così.
Il rock’n’roll ha ancora un futuro? E un suo pubblico?
Personalmente ritengo che alla musica non si possano applicare le categorie di passato, presente e futuro. Se un brano musicale ti dà delle emozioni in un dato momento, quella è musica contemporanea perché anche se viene dal passato più remoto, parla a te che vivi nel tuo presente. E’ anche per questo che si fanno i dischi, per comunicare con chi verrà dopo di noi e restituirgli un’emozione che rinasce ogni volta e prende sviluppi sempre diversi. E poi l’idea che oggi il rock and roll sia una forma di musica vecchia è data per lo più dal fatto che viviamo in un sistema che per venderci le cose deve spacciarcele ad ogni costo per l’ultima novità, l’ultimo ritrovato in campo artistico o tecnologico, per poi bruciarle e buttarle via quando non convengono più. Questo è il problema principale del nostro mondo e non solo per quanto riguarda la musica. Per fortuna però la musica non è un ipod o un iphone e neppure un detersivo e si sottrae da questa follia anzi, spesso ci salva da essa. La musica è qualcosa di molto più potente e misterioso, un continuum, un flusso in cui le cognizioni temporali non hanno senso. Il rock and roll è un genere di musica molto giovane ed insieme molto antico. Nella sua forma conosciuta ha solo una sessantina d’anni che non sono niente se lo paragoni ad altri generi di musica popolare. Sicuramente ha un futuro e un pubblico, anzi ora ci sono generazioni intere cresciute con il rock and roll, persone adulte che, giustamente, continuano a portare avanti questa passione con gli anni che passano e non la buttano via come si butta un telefonino. E in più ci sono i giovani che lo scoprono oggi. Il pubblico c’è ed è di ogni età e questa è una cosa bella per me.
Come è cambiata la scena in questi 15 anni che siete in giro?
E’ una domanda molto complessa. Quando abbiamo iniziato la scena come la conosciamo oggi esisteva a malapena. Gamma Pop è stato un tentativo di portare un po’ di coesione, di attivare delle collaborazioni tra realtà che ci piacevano e che percepivamo come separate spesso per semplici questioni geografiche. Dalla scintilla di Gamma Pop sono nate molte cose e questo ci inorgoglisce tanto quanto i dischi che abbiamo pubblicato. Adesso è passato tanto tempo, mi sembra che il rapporto con la musica sia caratterizzato da una minore urgenza e visceralità rispetto a quando abbiamo iniziato noi. Mi pare che gli aspetti formali oggi predominino su altri fattori che rendono la musica veramente emozionante per le persone che la ascoltano e la suonano. Ci sono dei gruppi molto bravi tecnicamente oggi, che fanno scelte di gusto impeccabili ma non sento in loro quella necessità impellente di suonare, quella voglia spasmodica che ti spingeva ad esagerare e anche ad osare. Mi sembra che la gente faccia le cose perché le può fare e non perché le DEVE fare perché spinta da un desiderio impellente, irrefrenabile. Io mi ricordo l’atmosfera che si respirava ai concerti negli anni’80, c’era un senso di attesa di anticipazione fortissima, quasi angosciosa che poi esplodeva con un’energia incredibile durante il concerto. Ora questa energia non si percepisce quasi mai, se non in rarissime occasioni. Non so se questo dipenda dalle nuove tecnologie o meno, forse siamo solo vecchi e nostalgici, sta di fatto che non cambierei il mio modo di vedere e fare le cose con niente e nessuno. Quello che possiamo fare è continuare a testimoniare questa attitudine finché ne avremo la forza.
Autore: Vittorio Lannutti
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