Sporca, pericolosa e povera. Questo era New York City nei Seventies. La guerra in Viet Nam, Nixon e il Watergate avevano alimentato il risentimento verso il governo. L’embargo petrolifero arabo del 1973 assestato un altro duro colpo all’economia americana. L’amministrazione comunale in bancarotta si era vista costretta a licenziare migliaia di persone tra addetti alla nettezza urbana, poliziotti e vigili del fuoco. I treni della metropolitana erano coperti, ovunque, di graffiti di una bruttezza indescrivibile. Le condizioni di Harlem e del Bronx erano terribili per la povertà dilagante e per gli edifici abbandonati o in fiamme per incassare i risarcimenti delle assicurazioni. Il crimine dilagava per le strade: la Bowery, oggi area residenziale di lusso, ospitava gran parte delle attività criminali della città, mentre spacciatori e prostitute lavoravano apertamente tra Park Slope a Times Square. Nell’estate del 1977, una delle più torride, un lungo black-out scatenò una serie interminabile di saccheggi. Ad accrescere la paura ci si mise anche David Richard Berkowitz, un serial killer più noto con i soprannomi di Son of Sam o 44 Caliber Killer. In quei giorni New York era un posto incredibilmente sgradevole e spesso terrificante da vivere, tanto che negli aeroporti e nelle stazioni si arrivò a distribuire un volantino raffigurante un teschio avvolto dalle parole “Welcome to Fear City” (Benvenuti nella Città della Paura).
Tutto trasmetteva un senso di squallore e di malessere, come se l’intera città fosse entrata in una fase di decadenza inarrestabile. Ma nella metropoli che, in superficie, sembrava crollare su se stessa, l’oscurità generava luce. Una creatività incontrollabile si ritagliò uno spazio nel marasma caotico del territorio urbano. La scena musicale, ad esempio, non fu mai così fiorente come in quel momento buio. Artisti di ogni colore e background mescolarono ritmi e vibrazioni in un melting pot di speranza. La musica fu la colla che tenne insieme tutto. Il rimedio magico che, giorno dopo, curò ferite e trasmise la consapevolezza di essere ancora in vita. New York fu il laboratorio in cui vennero reinventati tutti i principali stili della musica moderna. La scena punk del CBGB con i New York Dolls, Ramones, Blondie, Talking Heads, Suicide e Television. Springsteen e Patti Smith. Per passare poi alla salsa dei Latinos del Bronx, la nascita della disco e della dj culture, il minimalismo di Philip Glass e Steve Reich e il rap e l’hip-hop e di Kool Herc e Grandmaster Flash.
Tutta questa storia la potete trovare in New York 1973-1977. Cinque anni che hanno rivoluzionato la musica di Will Hermes, collaboratore di Rolling Stones e New York Times. Il libro che è uno straordinario saggio di storia sociale in cui la musica viene posta al centro di una serie di cambiamenti che implicano anche altro da sé, è stato pubblicato nel 2011 in America con l’evocativo titolo di Love Goes to Buildings on Fire, una citazione del primo singolo dei Talking Heads.
In New York 1973-1977 non vi è nulla di asettico, freddo o dottorale, al contrario traspare apertamente l’amore profondo per ciò di cui sta scrivendo. La prosa pulsa come un cuore, mentre si sommando storie di incontri, concerti, performance, sbronze, zuffe quasi a creare una sorta di mappa umana, oltre che musicale. Ad esempio la straordinaria forza creativa della città viene messa in luce attraverso il numero eccezionale di eventi che si sarebbero svolti contemporaneamente, nel giro di pochi chilometri, a volte a pochi isolati, l’uno dall’altro. Ci mostra i luoghi dove le scene più disparate, inaspettatamente, si intersecavano, e ci sorprende illuminandoci sulle cose in comune.
Letteralmente il primo capitolo si apre con il concerto dei New York Doll presso il Centro Mercer Arts, il 1° gennaio 1973 e il quinto capitolo si conclude con quello del sassofonista David Murray all’Ocean Club di Lower Manhattan, il 31 dicembre 1977. Nel mezzo ci sono, tanto per citare, il debutto da solista di Lou Reed, Tom Verlaine che cala il primo acido, la nascita dei Television, Johnny Thunders che prova l’eroina, il free jazz reinventato nei loft, David Mancuso e le sue feste a inviti al Loft e quelle di Nicky Siano al Gallery. Bob Marley & The Wailers che suonano di spalla a Springsteen al Max’s Kansas City. Soul Makossa che impazza dalle radio. I lettori fanno la conoscenza di Jeff Hyman, un ragazzino goffo del Queens che cambierà il suo nome in Joey Ramone: < >.
Questo è un libro di storia ben documentata e tra le tante vi è inclusa anche quella di un adolescente del Queens pazzo per la musica: «Il sole tramontava dietro lo skyline di New York in un’orgia rosso-arancione che l’inquinamento rendeva ancora più incandescente, mentre dietro le innumerevoli finestre accese si dipanava ogni genere di scene immaginabili. Centomila punti di luce strabiliante e chissà quanto depravata. Avremmo dato qualsiasi cosa per spiccare il volo e raggiungerla [….] Andavo anch’io al CBGB’s e lì vidi tutti i grandi gruppi di quegli anni. Dal Queens era un lungo viaggio in metropolitana, simbolo della distanza da cui assistevo a ciò che stava accadendo: da ragazzino le mie attività quotidiane erano la lettura di giornali come il “Village Voice” e la visita al negozio di dischi vicino a casa. Quando diventati un po’ più grande, Manhattan divenne la mia Xanadu, la capitale dell’impero. Una rumorosa, puzzolente, spaventosa Xanadu».
New York 1973-1977 è un abbagliante, caleidoscopico elogio di una città che ha lasciato, lascia e lascerà sempre la sua impronta creativa sulla cultura di massa. Una città, come ha scritto l’autore alla fine, che tende a cancellare la sua storia, per reinventare se stessa all’infinito. Per questo e per tanto altro ancora continua ad occupare i nostri ricordi e anche i nostri sogni.
autore: Alfredo Amodeo