Avevamo già dedicato un’intervista e uno special a Michael Anderson e alla sua fertile etichetta BlueSanct circa cinque anni fa; l’imminente nuovo tour italiano di Drekka (l’alter ego con il quale Michael compone musica in proprio) ci offre l’occasione per scambiare con lui ulteriori impressioni e quindi gettare lo sguardo su alcune delle più recenti uscite della label di Bloomington, Indiana.
Dirigi la BlueSanct da 15 anni circa… In generale, come è cambiato il mondo delle indie-labels dalla metà degli anni Novanta ad oggi? E, in particolare, come sono cambiati il tuo approccio e la tua prospettiva?
Stavo parlando proprio di questo ad un amico l’altra notte. Come per l’organizzazione dei tour, l’intera condotta delle labels è diversa persino rispetto a 5 anni fa… e quasi del tutto rispetto a 15 anni fa.
Quando detti il via alla BlueSanct facevamo questi piccoli cataloghi stampati… gran parte delle nostre uscite erano su cassetta; nessuno aveva un indirizzo email, o cdr che potevi registrare da solo. Tutte queste cose erano come il Santo Graal. Mettere musica su internet era una cosa del tutto sconosciuta, gli mp3 non esistevano ancora e i cellulari non era ancora così comuni.
Era molto divertente, come una piccola società segreta. Potevi venire a conoscenza di una band o un’etichetta e scrivere loro una lettera, nascondere un po’ di denaro nella carta stagnola e sperare di ricevere nella cassetta postale qualche mese dopo un pacchetto con dentro qualche strana cassetta fatta a mano e una lettera simpatica.
Ma adesso è totalmente diverso, non meglio o peggio ma certamente più facile e per molti versi più eccitante per i gruppi/le etichette. Posso mettere la mia musica DOVUNQUE voglio… la gente di tutto il mondo ha la possibilità di parlare con i propri musicisti preferiti e andare alla continua ricerca di nuova musica e nuovi suoni.
Per il modo in cui io dirigo la mia etichetta/i miei gruppi, la proliferazione della musica libera online è stata una sorta di liberazione. Ora è IMPOSSIBILE persino provare a promuovermi come artista perché in realtà davvero poche persone comprano ancora musica… inizialmente ero turbato e depresso a causa di questo, poi una volta accettata la cosa, ho trovato liberatorio riprendere la mia attività per il solo piacere di farlo.
E’ di gran lunga più importante per me essere ascoltato da una persona realmente in sintonia con la mia musica piuttosto che vendere migliaia di dischi.
Qual è la tua più grande delusione nella gestione dell’etichetta? E quale la più grande soddisfazione?
La parte peggiore del condurre l’etichetta è che rende molto più facile il procrastinare l’attività come Drekka dandomi l’illusione di essere già produttivo lavorando su album altrui. Ho realizzato veramente poco come Drekka a causa della BlueSanct… ma sto lavorando per cambiare questa tendenza.
L’emozione più grande del dirigere l’etichetta è vedere i miei amici che riescono a far ascoltare la propria musica e quando la gente mi dice quanto i nostri lavori significhino per loro.
Il motto della BlueSanct (e di Day2 Alliance, il nostro collettivo artistico) suona più o meno: “fare le cose in proprio e diventare lentamente tuoi amici”.
Due anni fa vidi i Rivulets in concerto a Firenze e c’erano solo 12 spettatori compresi gli organizzatori (ricordo che c’eri anche tu..). Non pensi che il vero rischio di alcuni eventi musicali possa essere una sorta di “autoreferenzialità”? (in italiano diciamo qualcosa del tipo “Da solo te la suoni, da solo te la canti” …ehm)?
Sì, ero a quel concerto! La vista dalla terrazza sulle colline e su Firenze era incredibile. Trascorsi gran parte del giorno a vagabondare per i vicoli di quella zona… era così bella.
Il concerto fu strano, yeah… Buona parte del tempo la passai nella stanza dietro il palco. Là c’era un’eco fortissimo e la musica era davvero martellante. Penso di aver registrato qualcosa di quei suoni. Con noi c’era Francesco Candura e anche Nathan Vollmar… per me personalmente quel tour fu notevole.
Ma penso di capire cosa intendi quando dici “Da solo te la canti, da solo te la suoni”.
Con Drekka, sebbene la musica sia forse malinconica e abbastanza intima, cerco di renderla universale e anche molto diretta. Mi sforzo di non creare un muro tra la musica e gli ascoltatori. Voglio e cerco di incoraggiare la comunicazione reciproca. Penso che sto divagando, tuttavia…
Vorrei precisare ulteriormente il mio punto di vista. Il rischio di autoreferenzialità non è secondo me dovuto sempre all’attitudine dell’artista (anzi in quel caso il concerto di Rivultes fu senz’altro buono), ma spesso è generato dalla pigrizia e dalla mancanza di curiosità del pubblico (quel concerto era ad ingresso libero, ma c’erano solo una decina di persone…, ogni volta “i soliti 4 gatti”, diciamo in italiano).
Oh, capisco cosa intendi, sì. I concerti di Rivulets sono sempre buoni, persino se sono un po’ arrabbiati o depressi. Nathan alimenta l’energia del pubblico e talvolta questa energia è pigra, talvolta rabbiosa, talvolta amorevole. Sono stato fortunato abbastanza da aver visto dozzine di concerti unici dei Rivulets, viaggiando nel corso del tempo con Nathan.
I concerti di Drekka possono essere faticosi quando il pubblico non è attento o siede al bar e parla sulla musica. Cerco di non prendere la cosa dal punto di vista personale e suono comunque, ma io sono noto per saper prendere la situazione in mano e poter essere completamente convincente.
Provengo da un background di arte performativa, so come creare eccitazione e catturare l’attenzione del pubblico se devo. La cosa buona del suonare musica più sperimentale è che posso mutare il set a secondo di ciò che voglio/ciò che occorre. E ciò può talvolta rendere la musica completamente rumorosa e provocatoria.
Ma, mi sento sempre un po’ colpevole poi. Non mi piace avere scatti d’ira come sono solito avere.
Quando recensii il tuo cd “Take care to fall” scrissi: “Quando lo ascolto, immagino Drekka nella sua stanza, i suoi strumenti intorno, rumori domestici, una sigaretta, un whisky, una mosca immobile sul vetro della finestra e fuori un mondo brulicante…” Se vengo ad un tuo concerto trovo la stessa atmosfera?
Lo spero! Questa è un’ottima immagine (sebbene io non fumi). Registro e suono con accese soltanto luci blu natalizie, questo può aggiungere qualcosa alla tua visione di me nel mio piccolo nido.
I miei concerti spero siano un’occasione in cui chiunque possa sentirsi a proprio agio e rilassato ed essere stimolato a pensare ed osservare. Io tendo a perdermi nella musica, e mi piacerebbe fosse così anche per gli altri.
Dipende dalle serate, tuttavia. Alcune serate sono veramente belle, ed alcune davvero desolanti. Dipende dall’umore della serata e dalla predisposizione del pubblico a partecipare.
Sei già stato in Italia alcune volte e presto vi farai ritorno per una nuova serie di concerti… Qual è la prima sensazione che provi non appena arrivi in Italia?
La primissima volta che arrivammo in Italia, fummo immediatamente perquisiti alla frontiera svizzera perché il nostro pulmino proveniva da Amsterdam e loro pensavano di arrestare degli stupidi americani che nascondevano droga. Prendemmo accordi con il nostro autista, Derek, mentre cercavamo di restare calmi. Non eravamo in possesso di alcuna droga, ovviamente.
Il primo concerto fu a Genova al Milk, e la mia prima impressione del pubblico italiano fu che parlavano durante il set. Era frustrante all’inizio, ma poi riuscii a dare una spiegazione. Risultò che parlavano non per essere molesti, in realtà erano entusiasti e parlavano DEL concerto DURANTE il concerto… La cosa mi confuse, ma era lusinghiera, credo.
Adesso, non appena entro in Italia, vado dritto alla macchinetta dell’espresso e mi adatto alle abitudini locali.
E cosa fai invece, non appena rientri a casa dopo un tour?
Lascio i miei bagagli nel soggiorno e vado ad allungarmi nel mio letto, coccolandomi con la mia fidanzata, per circa tre giorni.
Quali sono i tuoi progetti futuri come Drekka e con la BlueSanct?
Ci sono molte cose in arrivo. Per Drekka, questo tour promuove un nuovo doppio cd pubblicato da Morc Records, in Belgio. Si tratta della ristampa delle mie prime due cassette realizzate nel 1996, più materiale bonus e un libro fatto a mano. E’ la prima di una serie di uscite celebrative del 13° anniversario di attività.
Dopo, in novembre, esce una cassetta live su Digitalis Industries, seguita da un nuovo album nei primi mesi del 2010 intitolato “Tarwestraat 52”.
Ci sono anche un paio di collaborazioni in corso, compreso finalmente il sodalizio con Nathan dei Rivulets per realizzare il nostro progetto Infinite Light LTD iniziato qualche anno fa durante l’ “Howl on wind” tour.
Per BlueSanct, ci sono un po di nuove cose in arrivo all’inizio del 2010. Body of John the Baptist è un vortice sonoro che ricorda la prima 4AD, da Asheville, North Carolina. E avremo una compilation intitolata “Twelve-Foot Wize” con tracce inedite di tutte le bands BlueSanct.
Il modo migliore per restare informati sul nostro materiale è inviarmi una email all’indirizzo figurehead@bluesanct.com per entrare nella mia mailing list, o controllare periodicamente il sito www.bluesanct.com .
Guida all’ascolto
Drekka – Extractioning (2005)
Non un vero e proprio nuovo disco, questo licenziato da Michael Anderson/Drekka nel 2005, ma la riproposta in un unico cd di due precedenti ep a suo tempo già pubblicati su cassetta.
Tasti di una macchina da scrivere percossi nel brano che apre la raccolta così come in quella che la chiude, strumentali leggiadri (“Untitled sketch”) o perché no sonici (“Color coded”), folk elettrico e slabbrato (“Love without sound”), nenie deliziose appena sfrigolanti (“Possibilities”), echi di preghiere ed inni sacri ondeggianti in un cupo mare di feedback (“Psalm 99 (100)”), strofe ovattate singhiozzanti sotto fruscii insistiti e accordi amplificati (“Posterity is futile”) e due cover preziose (“There is a mountain” di Donovan, la versione in filigrana di “What would the community think?” di Cat Power) per 35 minuti e mezzo di suoni in bassa fedeltà. Ed una scrittura autentica, maledettamente autentica.
Annelies Monseré – Helder (2005)
Merito della Blue Sanct aver dato alle stampe l’esordio della cantautrice e polistrumentista belga Annelies Monseré, da poco uscita su Auetic con la sua seconda prova intitolata “Marit”. La splendida “We’ll dance” apre il disco con lente note di pianoforte e una voce uterina intonante poche sillabe: una dolcezza trascolorata, una melodia impalpabile che sfiorisce in appena due minuti e mezzo… Lo stesso senso di caducità impellente aleggia lungo tutto l’arco di “Helder”, con Annelies ripiegata sui suoi strumenti e sulla sua solitudine: i sussurri inghiottiti in “Midnight”, il violoncello che in “Here” vibra sotto un crepuscolo punteggiato da lievi rintocchi di glockenspiel, un canto ancestrale che appanna i contorni di “Cold night”, il fremito commosso di “This queit room” e l’ineffabile inquietudine di “You were on my side” sono istantanee sfocate provenienti da un mondo lirico palpitante, affine a quello di Tara Jane O’Neill e Jessica Bailiff. Musica isolazionista, eppure alla timida ricerca di un orecchio fraterno.
Caethua – Village of the damned (2007)
Errante in brumose lande slow-folk, Clare Hubbard/Caethua tesse melodie sgranate (solo un soffio nel buio cunicolo di “Retreat”), zoppicanti (“Tragic”) o totalmente pervase di pathos (“Playing dead”), sempre dotate di un fascino ineffabile.
I pezzi strumentali ci avvolgono in una tiepida coltre psichedelica, elettrizzata da drones punzecchianti in “Burning yarrow” e increspata da tartagliamenti impro in “Consecration”.
Sorta di ancestrale via crucis dedicata alla natura e ai suoi misteri più profondi, “Village of the damned” snoda il proprio percorso in canti sacri risonanti tra pareti catacombali (“Meditation”) e in profani riti freak da consumare intorno a falò scoppiettanti, tintinnii di sonagli, cupi scalpiccii e sibili di armonica (la title track). Da New York al nostro cd-player, in appena 300 copie.
Synthesisia – I dreamed a world of darkness and you the white light shining (2009)
Synthesisia è il moniker con il quale agisce in solitaria Isaas Edwards, tastierista e arrangiatore degli Odawas, psychedelic-duo proveniente dall’Indiana artefice dal 2005 ad oggi di tre dischi pubblicati con regolare cadenza biennale dalla Jagjaguwar.
“I dreamed a world of darkness …” è un mini album di 25 minuti, un’unica traccia di sulfurea kosmische musik aperta da aloni vocali e fluttuanti arpeggi di chitarra che prima si polverizzano e poi si addensano in nembi lattiginosi, seguendo epiche correnti ascensionali fino al catartico lampo di luce conclusivo.
Stampato in edizione digipack di soli 300 esemplari, questo cd non esplora certo orizzonti musicali a noi sconosciuti, ma resta comunque ascolto consigliato per accompagnare placidi viaggi psichedelici.
*E queste le date italiane in programma (alcune ancora in via di definizione), parte di un più ampio tour europeo. Per ulteriori aggiornamenti visitate il sito della BlueSanct o il myspace di Drekka.
10 novembre – Mestre (VE) @Flat w/VALIUM DOLL
11 novembre – S.Vito di Altivole (TV) @ Il Principe in Bicicletta
12 novembre – Parma @ Veronika Club
13 novembre – Milano @ TRok! c/o Cascina Torchiera w/ NEO
14 novembre – S.Vito di Leguzzano (VI) @ Centro Stabile di Cultura w/ GI GASPARIN e ENRICO ANTONELLO
15 novembre – Ferrara @ Zuni
16 novembre – S.Martino Spino (MO) @ Tizio’s place w/ MATTIA COLETTI, TREES OF MINT, COMANECI
17 novembre – Trieste @ Tetris Club w/ ALL MY FAITH LOST
18 novembre – Trieste @ Radio Fragola, on air session
Autore: Guido Gambacorta
www.bluesanct.com