Malgrado i circuiti della musica dal vivo non godano proprio di ottima salute tra pubblico distratto, portafogli vuoti, istituzioni ottuse, timore di investire e scarsità di spazi adeguati, ecco un evento importante il cui annuncio, in Primavera, ha fatto saltare sulla sedia tanti fan: la Jon Spencer Blues Explosion in Italia con tre date live per promuovere il recente album intitolato Freedom Tower, dodicesimo di una carriera gloriosa iniziata 25 anni fa, e addirittura la prima delle tre nel Sud Italia, a Pompei, dove lo sforzo congiunto di un manipolo di promoter che ci credono ancora ha permesso questa serata.
Il PompeiLab è il posto giusto, uno spazio all’aperto, piacevole, celebre ormai per la propria programmazione indipendente molto varia, che stasera si riempie quasi completamente, tra l’altro con un biglietto giusto che non lascia alcuna scusa a chi magari può aver disertato, salvo poi lamentarsi sempre che da queste parti non ci sono concerti.
Alle 22.15 circa apre Elli de Mon, one girl band della vicentina Elisa De Munari, chitarrista che ha militato in due band valide ma senza fortuna di cui in passato ci è capitato di scrivere: i garagisti Almandino Quite Deluxe ed il duo pop Le-Li. In questa nuova veste solista, con un disco omonimo pubblicato l’anno scorso, Elli de Mon si presenta seduta, con una chitarra dobro, una grancassa, i campanelli al polpaccio destro ed un tamburello a pedale, ed in circa 40 minuti conquista il pubblico con un garage blues elettrico grezzo, realistico ed intenso, da vera artista busker metropolitana, con un buon controllo della strumentazione utilizzata ed un contrasto interessante tra voce femminile e suono distorto. Dopo venti minuti di esibizione Jon Spencer in persona esce dai camerini per venire ad ascoltare da vicino Elli de Mon, attratto probabilmente da un suono slide guitar che lui ama molto, e che ha utilizzato in un suo progetto parallelo, gli Heavy Trash, alla fine degli anni zero. Chiude l’esibizione con un brano acido, suonato al sitar indiano. Alla fine del set Jon in persona invita Elli a seguirla nel resto del tour. Ecco a cosa serve fare da open act di un noto gruppo americano.
La Jon Spencer Blues Explosion sale sul palco poco dopo; una bandiera a stelle e strisce campeggia sul fondo, messa in verticale, le luci sono volutamente basse e conferiscono così allo show un carattere underground, molto rock’n’roll ed alternano il blu/bianco al rosso e più raramente ad un bellissimo verde, mentre Jon Spencer e Judah Bauer durante l’esibizione cambieranno ogni tanto le chitarre ma senza utilizzare troppi effetti. Il suono infatti è semplicemente distorto, compresso e con un leggero fuzz, mentre il volume è altissimo, con due chitarre senza basso.
La prima parte dell’esibizione parte con i brani nuovi di Freedom Tower, tra i quali ‘Funeral‘ e ‘White Jesus‘, per poi riprendere una serie di pezzi dai tre dischi fondamentali della band pubblicati su etichetta Matador, ossia Orange (1994), Now I Got Worry (1996) ed Acme (1998), che tanto svecchiarono il r’n’r in un periodo in cui grunge, post rock e nu metal lo avevano relegato a roba per vecchi, assieme a canzoni del periodo successivo, dei buoni ma decisamente più ortodossi dischi degli anni duemila.
Il trio, completato dal grosso Russell Simins alla batteria, ha dal vivo uno stile assolutamente garage, come una band giovane agli esordi: niente ruffianate, niente furbate, no tempi morti, pedali, richieste al fonico, ballate per tirare il fiato, discese tra il pubblico o cose così; e niente bis, in chiusura, quando ormai, visto l’orario, bisognava ad ogni modo abbassare i volumi.
La JSBX parte a razzo e procede sparata sudando tanto ed infilando una buona fetta del proprio repertorio grossomodo sempre con lo stesso suono stoogesiano, puntando sull’istinto, sull’emozione, col solo Jonathan Spencer che interagisce col pubblico, chiedendo partecipazione e feedback per tastare il feeling col solito sistema usato anche nei dischi: urlando “bluuueees exploooosion!” come fosse un predicatore fanatico in chiesa e pretendendo una risposta a tono dagli spettatori. Il pubblico risponde, in alcuni caso pogando anche, ed un’altra parola chiave del punk blues della JSBX infatti è infatti: divertimento, e poi anche: liberazione, perché il blues ed il punk dal vivo danno vita ad un piccolo rito pagano anticonformista, provocatorio, che fa cadere le maschere e le convenzioni.
Dietro il nuovo disco c’è l’idea nostalgica di omaggiare la folle scena newyorkese c.d. No Wave degli anni 80 e la sua straordinaria libertà espressiva autenticamente underground, di cui in realtà Jon Spencer fece parte soprattutto come spettatore, perché impegnato come musicista all’epoca coi folli washingtoniani Pussy Galore. E ci sono nel nuovo disco almeno un paio di episodi fortemente hip-hop, che per Jon Spencer rappresenta un linguaggio in netta continuazione rispetto al punk blues, al blues ed al funk assassino di James Brown, e dunque stasera ecco ‘The Ballad of Joe Buck‘, ‘Do the Get Down‘ e la splendida ‘Wax Dummy‘, dai toni antagonisti e stradaioli à la Public Enemy ma coperte ad ogni modo di chitarre ribassate ancor più che su disco, una novità per un gruppo che non si è seduto completamente sulla propria formula collaudata, ma che ancora prova a fare cosa nuove.
Tutto molto cazzuto, veloce e a testa bassa, con Bauer a rappresentare l’anima country blues e Spencer che ogni tanto cerca Simins con lo sguardo per rientrare, ed in due tre occasioni mette le mani su un theremin.
Un’esibizione gratificante, convincente, che ci fa sperare che esperienze del genere si possano ripetere con frequenza in questo territorio e vengano sempre valorizzate dal pubblico. Il concerto è stato ad ogni modo anche l’anteprima del RockAlvi Festival, che si svolgerà a Napoli, presso Casa della Musica, il 24 e 25 Settembre con un valido cartellone.
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autore: Fausto Turi