Paul Banks, attivissimo negli ultimi tempi anche oltre gli Interpol (che rimangono la sua band storica con la quale ha pubblicato due dischi in due anni ultimamente) dopo i suoi progetti solisti di qualche anno fa lancia un tentativo di nuova band con Josh Kaufman dei Bonny Light Horseman (anche produttore di The National e War on Drugs) e Matt Barrick, batterista dei Jonathan Fire*Eater, The Walkmen, e turnista live dei Fleet Foxes.
Uscito il 5 giugno per l’etichetta storica degli Interpol, Matador, il progetto non è un EP come ci si aspetterebbe ma un intero album di 12 tracce, che esce col nome della band, Muzz. L’album è lanciato da un video e un singolo, Red Western Sky, registrati dalla band stessa, con video girato all’American Treasure Tour Museum. Ma i Muzz avevano voluto saggiare la platea pubblicando già nelle settimane precedenti su Soundcloud Broken Tambourine e Bad Feeling, quest’ultima particolarmente introspettiva melodica e romantica, che segna il passo rispetto alle consuete produzioni Interpol dalla chitarra graffiante, che qui lascia il posto ad arpeggi più soffusi ed evocativi.
Il progetto è nuovissimo ma i Muzz nascono da un’amicizia molto lontana nel tempo, che risale all’adolescenza e all’aver frequentato il liceo insieme prima del trasferimento a New York tra Banks e Kaufman. Ma anche Barrick è una vecchia conoscenza dei club musicali frequentati a New York. Da allora, i tre avevano collaborato a due a due: Barrick-Banks con The RZA, Banks + Steelz, mentre Kaufman aiutò Banks con il suo primo progetto solista Julian Plenti; inoltre i tre hanno comprato insieme uno studio a Philadelphia. E dal 2015 registrano demo insieme, che poi sono diventati il disco attuale, con i testi scritti da tutti e tre. Dice Barrick: “Josh ha una formazione teorica, mentre Paul ha una prospettiva diversa. Non sai mai come Paul affronterà un brano, sia dal punto di visita lirico che melodico, quindi è sempre tutto molto inaspettato e sorprendente. Siamo tutti aperti alle idee degli altri. Penso che tre sia il numero perfetto per i membri di una band. Ognuno fa la sua parte.” Di Muzz Bakns invece dice: “Alla fine la musica parla da sé: abbiamo una chimica artistica genuina e organica. Si tratta in parte dei gusti musicali che io e Josh abbiamo condiviso durante la giovinezza, ma sono anche le anime dei miei amici che risuonano con me attraverso la musica. Penso sia cosmico.”
Come affermano tutti e tre, l’album è frutto di un’autentica alchimia, senza alcun leader o predominanza: la sessione tipica era di Barrick e Banks al Silent Partner studio mentre Kaufman lavorava a Isokon, a WoodStock, e Dan Goodwin come coproduttore metteva insieme le registrazioni. In genere Barrick e Kaufman hanno messo su la struttura dei pezzi mentre Banks ci ha aggiunto melodie e lyrics, ma anche gli altri due hanno collaborato ai testi. “Un mostro a tre teste”, afferma in sostanza Banks, “genuinamente frutto di collaborazione – abbiamo generato musica insieme e le canzoni venivano da ogni direzione”.
Il nome del disco è frutto di un’intuizione di Kaufman: muzz è stato il suo tentativo di descrivere con una parola questa tessitura di suono che si sente nelle prime registrazioni, ed in effetti ne rimane traccia nel fatto che le canzoni sono profonde, espansive, sfumate, evanescenti, spesso lente e romantiche, nonostante la presenza di pezzi puramente rock come il singolo Red Western Sky o Knuckeduster. Pezzi, questi ultimi, davvero interessanti e sullo stile Interpol, ma l’anima del disco rimane comunque quella tessitura sfumata di melodie malinconiche come in All is Dead to Me o Evergreen, o Bad Feeling, In Evergreen per esempio la presenza di tutte e tre le voci, che cantano sopra un loop di batteria ed effetti con intromissioni di chitarra lancinanti, crea un’atmosfera sospesa di estate malinconica, mentre in Patchouli compare anche una chitarra acustica quasi inedita per uno come Banks, a rafforzare quella sensazione già sentita in Evergreen, e la chitarra acustica compare anche in Everything Like It Used To Be, anche se la trama del pezzo nel suo alternarsi di strofa e ritornello è decisamente Interpol style, soprattutto se comparata agli ultimi album della band. Un pianoforte classico, addirittura, fa il suo esordio in Broken Tambourine, anche se lascia poi il passo alla batteria entrante, sulla quale la voce di Banks trova un tono profondo basso e particolarmente ispirato. Un’incalzante batteria Jazz introduce How Many Days, tra i pezzi più sperimentali e riusciti del disco, mentre Summer Love è un altro brano prevalentemente creato con loop e computer, sul quale però di nuovo fa comparsa la chitarra acustica, stavolta ad arpeggiare addirittura. E ancora la acustica è protagonista dell’intro di All Is Dead To Me, forse la canzone manifesto del disco, per la sua sospensione senza tempo e il suo testo malinconico. Ascoltando qui fiati, acustica e quasi assenza di batteria, siamo sicuramente al livello più lontano dagli Interpol che Banks abbia mai raggiunto, e qui si capisce il frutto dell’alchimia con gli altri due membri della band.
Trinidad, con il suo arpeggio elettrico triste e lento, altamente evocativo, chiude un disco veramente prezioso, raffinato, che non contiene hit esplosive, ma che sicuramente ha fatto divertire i suoi componenti e farà divertire chi lo ascolta, perché qui c’è musica davvero di altissimo livello, anche se non gridata o esplosa a colpi di assoli. Un esperimento decisamente da ripetere.
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autore: Francesco Postiglione