D’accordo, Piero Pelù è ormai da anni diventato la caricatura di se stesso, e la sua partecipazione come conduttore alla kermesse televisiva di The Voice non aiuta la causa della sua serietà. D’accordo, i Litfiba da El Diablo in poi (ovvero da 20 anni) sono la parodia o quasi di una rock band, con pochi brani azzeccati e molte anzi troppe buffonerie.
D’accordo anche che fare un tour di soli pezzi dei primi tre album significa abbandonarsi all’amarcord e autodichiarare che di ispirazione per nuovi seri pezzi non ce n’è più, e che questa è certamente un’operazione commerciale.
Ciò detto, chiunque sia stato un fan dei Litfiba della prima ora, ovvero dei primi tre mitici album, Desaparecido, 17 Re e Litfiba 3, non può non avere provato emozioni forti (e magari anche inaspettate, date le premesse di cui sopra) a rivedere Piero Pelù e Ghigo Renzulli di nuovo con Gianni Maroccolo e Antonio Aiazzi, ovvero la band nella sua formazione originale (con l’aggiunta di Luca Martelli alla batteria a sostituire il compianto Ringo de Palma) dispersa con l’abbandono di Maroccolo proprio dai tempi di Litfiba 3.
Ma non si è trattato solo di amarcord: nella piazza del tranquillo Sogliano al Rubicone, paesino del Cesenate adagiato sulle dolci e spettacolari colline romagnole, i Litfiba hanno messo su uno show interamente basato sulla musica, ed era musica tosta, suonata al fulmicotone, con ritmi da paura e una forma fisica e mentale perfetta.
E’ come se Pelù e compagni avessero detto all’Italia che, nonostante tutto, l’unica vera e sola rock band di livello internazionale nata e cresciuta (e morta) in Italia siano stati loro, alla faccia dei vari Negramaro, Vibrazioni, Marlene Kuntz, Afterhours e simili.
Una rock band, nelle origini, psichedelica, allucinata, visionaria e dotata di un talento musicale (quello di Ghigo) immenso, capace di regalare i migliori pezzi che siano mai stati scritti in lingua italiana almeno per quanto riguarda la musica di genere (e forse non solo).
E i fans di ultima generazione, ovvero gli adolescenti che erano in piazza magari conquistati dai ritmi facili e commerciali di robe come El Diablo, Regina di Cuori, Proibito (di questo periodo dei Litfiba si salva solo qualcosa di Terremoto), devono averlo capito subito: se non proprio con l’attacco di Eroi nel Vento, difficile nella resa dal vivo rispetto all’originale, certamente già con la serie micidiale di Tziganata, La Preda, Versante Est, Istanbul, Guerra, che sparano in un colpo solo tutte le cartucce del primo album Desaparecido, quello più sperimentale e acerbo della band.
Le versioni regalate in questo live sono certamente molto più hard e dense di lead guitar degli originali, inimitabili nella miscela di suoni in cui (stenta a crederci chi non li conosce da allora) prevalevano archi, tastiere e sottofondi agli assoli. E tuttavia queste versioni più serrate e certamente meno ricche restituiscono a sufficienza quell’inimitabile intrigo di melodie, sfumature e atmosfere musicali di stampa dark-wave (spesso ammiccanti all’oriente, vedi Istanbul, Tziganata, Versante Est) che hanno fatto dei Litfiba la migliore rock band rock degli anni ’80 italiani.
Eppure il concerto si infiamma davvero con Apapaia, una rarissima e preziosa Pierrot e la Luna, una struggente Ballata, e di nuovo con i ritmi tzigani di Elettrica Danza, per sferzare poi con energia rabbiosa verso Re del Silenzio, e soprattutto Gira nel Mio Cerchio. Ancora oriente con Onda Araba (giustamente definita profetica, come Istanbul, da Pelù sul palco), per concludere poi la rassegna di 17 Re con Cane. Qui la band fa la sua pausa, per poi riprendere con la parte “micidiale” del concerto, ovvero i pezzi di Litfiba 3. Si comincia con una splendida versione di Lulu e Marlene, ancora da Desaparecido, poi arriva una chicca come Louisiana, seguita da un’inaspettata Il Vento, e poi, in fila, anzi a raffica, tirate e cattive come il demonio, Santiago, Paname, Corri (in una delle versioni live più dure e belle mai ascoltate) e Amigo.
Gli ultimi colpi, annunciati, sono Resta, e infine, immancabilmente e a questo punto indubitabilmente, Tex.
Chiunque abbia amato quei Litfiba ha avuto da questo concerto, da questo tour, una soddisfazione enorme, un regalo inaspettato, perché probabilmente mai tutte insieme sono state ascoltate queste canzoni (all’appello mancavano forse soltanto Come un Dio, Bambino e Cangaceiro, che qualcuno tra il pubblico reclama).
Chiunque non avesse conosciuto questa parte della produzione della band, ha avuto invece la possibilità di avvicinare questi pezzi, (e nel caso se ne consiglia l’ascolto immediato nella versione originale per restare definitivamente innamorati) e, cosa non da poco, anche di apprezzare i testi di quelle che sono autentiche poesie (Pierrot e La Luna, Ballata, Louisiana) o autentiche (forse le sole) canzoni impegnate in lingua italiana, come Santiago (“dedicata” alla visita di Giovanni Paolo II a Pinochet, nel pieno della dittatura), o Guerra, o Paname, o, naturalmente, Tex.
Sarà nostalgia, sarà amarcord, ma questi ritorni fanno bene a quanto pare a chi sta sul palco (Maroccolo Renzulli e Aiazzi sembrano rinati, Pelù dimostra di essere in fondo l’unico vero animale da palcoscenico del rock italiano) e magari anche a chi ascolta, perché ritrova una parte di sé e della sua personale storia musicale.
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autore: Francesco Postiglione