Nel 2020, con l’EP “Tell Me Your Mind And I’ll Tell You Mine”, i King Hannah (gruppo composto da Hannah Merrick e Craig Whittle e supportato, per i primi lavori, da Ted White, Olly Gorman e Jake Lipiec) irrompevano sulla scena musicale congedando ottimi brani dal sapore di un cantautorato rock senza tempo, tanto essenziali quanto diretti, quali “And Then Out Of Nowhere, It Rained”, “Meal Deal” e “Crème Brûlée” (entrambi anche singoli), “Reprise (Moving Day)” … in cui la voce della Merrick si bilanciava perfettamente sia con le ambientazioni più etere che con le abrasioni e distorsioni della chitarra.
Nel 2021, il personale omaggio a Bruce Springsteen (da quel capolavoro che è “Nebraska”) con “State Trooper” (da ascoltare nella versione estesa) per arrivare, nel 2022, alla consacrazione con lo splendido “I’m Not Sorry, I Was Just Being Me”, un disco che, senza tradire lo spirito delle origini, codificava un linguaggio più completo e si esaltava (per tutte) con le notturne “A Well-Made Woman” e “The Moods That I Get In” (quest’ultima con il suo esatto cambio di passo: ibridazione tra Neil Young e David Gilmuor), le incalzanti “All Being Fine” e “Big Big Baby”, la calda “Foolius Caesar”, la ballata psichedelica a due voci “I’m Not Sorry, I Was Just Being Me” …
Nel 2023 un altro personale omaggio, questa volta a Madonna, con una “suggestiva” “Like A Prayer” (da ascoltare nella versione estesa).
Nel 2024 è quindi il momento di “Big Swimmer” (City Slang), in cui Hannah Merrick e Craig Whittle si fanno accompagnare, oltre che da Ted White e Jake Lipiec, anche da Connor O’Shea, All Chant e Sharon Van Etten.
Il tempo di mettere il vinile sul piatto, “one, two, three, …”, e la perfetta “Big Swimmer” è Giano bifronte con uno sguardo rivolto alla ballata (anche con reminiscenze folk) e con uno sguardo rivolto ad un pacato rock sospeso tra gli anni settanta e gli anni novanta, per un momento d’ascolto altamente riuscito (non a caso oltre a essere brano eponimo, “Big Swimmer” è stato anche scelto come primo singolo anticipatorio del disco – da segnalare la particolare tenerezza del video).
La più sostenuta “New York, Let’s Do Nothing” è caratterizzata da un funzionale spoken (piacevole elemento) interrotto da refrains ammiccanti a un sotteso glam rock (semplice quanto efficace il video del brano).
Con la bella “The Mattress” tornano atmosfere notturne e fumose impreziosite dai ricami ritmici e di chitarra e dalle aperture vocali e strumentali.
“Milk Boy (I Love You)” è “scura” (nella tradizione dell’indie rock di genere) e mostra ancora un parlato in primo piano su un ossessivo riff, prima che le distorsioni e una melodia “alienata” conferiscano un senso di dannazione: “ … He missed on purpouse, because he enjoyed it”.
“Suddenly, Your Hand” è ballata delicata anche quando il suono si fa più denso e ruvido e chiude un primo lato di pregio.
Il Side B è innaugurato da “Somewhere Near El Paso”, ipnotica e narrativa (“that was a bad decision”)… poi scossa dalla lunga coda strumentale.
Se con “Lily Pad” si torna su più essenziali sentieri (bello il cambio di registro tra la parte cantata e la strumentale), le voci di “Davey Sayes” rivestono con ottimo gusto, anche radiofonico, un’ossatura rock anni novanta per il secondo più che giusto singolo (anche in questo caso un video semplice ma al contempo perfetto) destinato a lasciare il segno: “Davey says/You’ve gotta take it slow/If you’re gonna make it outta here/Davey says/You’ve gotta way to go/But you’re gonna make it outta here”.
“Scully” è breve intermezzo che conduce all’eterea “This Wasn’t Intentional”, le cui tinte progressivamente si rabbuiano in chiusura: “Kid, please know that this wasn’t intentional”.
La conclusiva “John Prine On The Radio” è accogliente e da tardo rosso meriggio californiano.
Con “Big Swimmer”, i King Hannah hanno arricchito il loro curriculum con un ulteriore ottimo lavoro discografico, figlio del passato ma con “presenti” nuovi e (vario)pinti umori che esplorano altri territori narrativi, con richiami vestiti da un personale abito.
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