La band newyokese che a inizio 2000 ha disegnato la strada per la rinascita della new wave continua a essere in piena attività: nel 2018 ha lanciato il suo sesto album, Marauder, e a meno di un anno di distanza lancia ora A Fine Mess, un EP di cinque tracce, per la fedele etichetta Matador Records.
Per questo EP gli Interpol, mentre erano in tour per Marauder, hanno chiamato Dave Fridmann come produttore, e poi Kaines & Tom A.D., mentre il mix è affidato a Claudius Mittendorfer, conoscenza vecchia dai tempi di Our Love to Admire. Segno che sono ancora alla ricerca di un suono che li soddisfi, forse alla ricerca di recuperare l’identità perduta che a inizio 2000 li ha resi subito, troppo presto addirittura, una band da major lanciandoli al successo planetario con il primo disco, il leggendario Turn on The Bright Lights. Dopo quel disco indimenticabile del 2002, portato in tour di recente per i suoi 15 anni anche in Italia, la band di Paul Banks aveva piazzato un altro paio di grandi prodotti, Antics nel 2004 e Our Love to Admire nel 2007, per poi avere una battuta d’arresto col quarto disco omonimo, Interpol, nel 2010, registrare un qualche recupero interessante con El Pintor, nel 2014, per poi sfornare dopo ben quattro anni nel 2018 un album pieno di buone intenzioni ma amorfo e poco decifrabile come Marauder, dove chi appare più stanco soprattutto in creatività ed energia è proprio Paul Banks.
Eppure, durante il tour, ancora in corso, di Marauder gli Interpol decidono di mettere in gioco altri cinque pezzi, che appaiono molto differenti in sound e tematiche dal disco inafferrabile dell’anno scorso. Scavando nella trama sonora, in A Fine Mess si trova quella vena malinconica che ha caratterizzato da sempre la migliore produzione della band, da NYC a Untitled, da My Blue Supreme a Lights e Rest My Chemistry, ma purtroppo ancora nascosta, sepolta, non più esplosa in trame riconoscibili e immediatamente ammalianti come in Obstacle One o Slow Hands.
E’ proprio la title track A Fine Mess, e il brano di chiusura Thrones, a cercare di recuperare la vena malinconica che ha fatto in passato la cifra stilistica della band di New York, ma ciò che si vede e sente architettato nelle trame musicali non viene reso al meglio dal lavoro di produzione, ma anzi quasi nascosto, come la voce di Banks nelle strofe di A Fine Mess, eccessivamente distorta.
No Big Deal disegna un interessante riff alla chitarra, stilisticamente di precisa natura Interpol, ma purtroppo niente di più: la canzone non evolve, o quantomeno non ammalia. Nemmeno il singolo The Weekend, o meno ancora il terzo brano Real Life, riescono a essere ricordati, persino dopo più ascolti, ed è proprio questa la disfatta principale degli Interpol dal punto di vista melodico: si ricordano di più i brani di 15 anni fa che non quelli nuovi, e per nuovi si intendono non solo quelli di questo EP ma anche quelli degli ultimi tre dischi, se si eccettuano Lights, All the Rage back Home e Everything is Wrong, ovvero soltanto tre canzoni o poco più.
Cosa succede agli Interpol? Succede che nella composizione, prima che ancora nella produzione, non riescono più a trovare quella chiave di riff malinconici e dark che marcava in maniera netta i loro capolavori, colorandoli di un perfetto new york style che li portava diritti diritti alla tradizione dei Velvet Underground. Le loro canzoni si fanno anche più complesse di prima, ma forse proprio per questo si perdono nella trama, e per esempio non riescono più a disegnare refrain di una chiara e vincente identità.
Certo, c’è sempre qualcosa di interessante nei loro dischi, senza dubbio, anche perché stiamo parlando di quella che forse è la band più talentuosa che si sia manifestata dopo l’ondata grunge di metà anni ’90, stiamo parlando di una band che praticamente da sola (se si eccettuano Strokes ed Editors) ha costruito un nuovo stile del rock del terzo millennio, assolutamente inconfondibile, riuscendo a innovare là dove si era celebrata (come troppe volte in passato) la morte del rock. I fan troveranno molti richiami ai loro pezzi classici, e sicuramente A Fine Mess è più vicina allo stile classico degli Interpol di quanto lo sia il disco dell’anno scorso. Ma devono ancora trovare la strada che li riporti a recuperare la loro identità.
Curiosamente, proprio con gli Strokes suoneranno a All Points East durante la stagione estiva, nella quale a giugno saranno in Europa (ma non in Italia) per una serie di festival tra cui il celeberrimo Glastonbury, dopo il tour negli States che li vedrà anche al LoolaPalooza in Brasile. Non viene meno il loro pubblico, e per fortuna non viene meno a loro la voglia di suonare, né i live (dove non si sono mai distinti per spettacolari show, a dir la verità) né in studio, dove ci si aspetta che, magari trovando il produttore giusto, possano ancora dare molto del loro indiscutibile talento.
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autore: Francesco Postiglione