Terzo album all’attivo per i quattro ragazzi di Twickenham, Londra. Giovanissimi pionieri di un indie-folk interpretato a dovere, ancora alla base di un filone diventato troppo presto moda stantìa, i Noah and the Whale hanno dimostrato di nuovo che non amano ripetere se stessi e hanno la creatività giusta per stupirci ancora una volta.
Se già First day of Spring, il loro secondo lavoro, si era presentato come un concept album che teneva insieme non poche suggestioni orchestrali, strumentali e polifoniche, Last night on Earth decide un altro- completo- cambio di rotta. Appena il fan affezionato entra nel terzo disco dei NATW non potrà fare a meno di storcere il naso. Così ho fatto io, almeno, e mi sono assicurata che ad altri fosse accaduto lo stesso.
Il naso si storce, non ci sono dubbi. Life is Life è la dichiarazione immediata e sincera che possiamo dimenticarci le chitarrine romantico-malinconiche di Peaceful, the World lays me down ed è meglio che iniziamo a farci piacere le nuove inserzioni elettroniche da laptop. Il risultato non è del tutto malvagio: dopo un primo ascolto in cui ci sembrerà di aver sbagliato disco e aver messo nel lettore erroneamente il Best of degli U2, ecco che con la seconda traccia iniziamo ad assimilare la nuova veste del quartetto, che per fortuna è sempre stato un ottimo produttore di melodie e non manca di confermare ancora una volta questa attitudine. Con L.I.F.E.G.O.E.S.O.N., la canzone che ‘hanno mandato avanti’ a presentare l’album, sembra aver trovato i vecchi Noah and The Whale di 5 years Time, quando insieme a Laura Marling e la cricca dei Mumford and Sons giocavano a fare i folletti in pantaloncini gialli tagliati sopra il ginocchio.
Con Wild thing l’atmosfera spensierata scompare e la voce profonda di Charlie Fink sembra fare il verso al Lou Reed dei Velvet Underground; il risultato è una bella canzone lenta e riflessiva che prepara al ritorno a sorpresa delle chitarre su Give it all back, mutuata alle esperienze più naive dei Cure.
Just before we met, nel cuore dell’album, è il riassunto esatto della nuova esperienza dei NATW: introdotta dalle note saltellanti di un violino, si lascia cullare da un tappeto di orpelli elettronici che non sanno mai di sintetico, ma si mescolano leggeri come gli esperimenti di un bambino con un nuovo giocattolo, mentre nella stanza la madre fa lezione di musica. Lo stesso valga per l’orecchiabilissima Waiting for My chance to come, separata dall’immancabile traccia strumentale, la romantica linea di piano di Paradise stars, una sorta di firma che a quanto pare, dal secondo album, i quattro ragazzi hanno deciso di adottare.
The line e Old Joy chiudono il disco, portando tutto il lavoro su una dimensione più intimista, il pianoforte e le voci tornano ad essere protagonisti, l’atmosfera è onirica, stellare. In Noah and the Whale hanno preso una navicella giocattolo e sono partiti per esplorare la volta celeste disegnata sul soffitto di una cameretta di Londra. Ciascuno di loro ha portato con sé uno strumento. Hanno deciso di suonare sulla luna, quando sarà uno spicchio e potranno starci su con le gambe sospese sulle stelle. Questa qui era la loro ultima notte sulla terra. Last night on earth.
Autore: Olga Campofreda