Nato nel 2006, Bing & Ruth è un collettivo in continua evoluzione, ma è in realtà anche una sigla in cui si cela un solo nome, il compositore David Moore, un pianista del Kansas laureatosi a New York presso la New School, scuola di jazz e musica contemporanea. Seguendo la grande tradizione di John Cage e Steve Reich, e infoltendo la notevole lista di compositori contemporanei non di stile classico che ormai affollano il mercato della musica leggera: basti pensare, solo da noi, Allevi, Einaudi, Ezio Bosso, o i più famosi Agnes Obel, Olafur Arnalds, Nihls Frahm.
In Moore, a differenza dei coetanei e compagni Frahm, Arnalds, ed altri, più che la contaminazione fra generi e lo sperimentalismo c’è la ricerca del sentimento, del trasporto perfetto, nel senso della lezione puramente romantica che fu del Romanticismo tedesco dell’800, stile Sturm Und Drang. Tempesta, ardore, note che si rincorrono come in una cavalcata, improvvisazione, flusso puro, come nella bellissima Flat Line/Peak Color, o nell’esordio di Starwood Chocker.
“Il piano è il linguaggio in cui i miei pensieri trovano forma” dice David. E’ questo sin da quando, a sei anni, ha seguito il metodo Suzuki, uno stile che enfatizza la memoria piuttosto che la lettura degli spartiti, e tuttavia “Sebbene abbia dedicato la mia vita al piano, non sono nemmeno vicino a raggiungere tutte le potenzialità dello strumento”.
Sarà pur vero, ma lo strumento è perfettamente dominato sotto le sue mani, come dimostra questa velocissima carriera, dall’acclamato album Tomorrow Was the Golden Age, del 2014, che ha avuto anche gli elogi di Tom Yorke, fino a questo No Home of the Mind, il cui titolo fa riferimento forse al fatto che Moore ha suonato 17 diversi pianoforti nel suo disco fatto in viaggio fra cinque diversi paesi, da Abbeville, in Alabama ad Arcosanti, nel deserto dell’Arizona, o in California, fino a Bordeaux, in Francia, o a Berlino, o alla Royal Albert Hall a Londra.
E’ musica puramente sentimentale, spontanea, un vero e proprio flusso di coscienza ai tasti, come spiega Moore. Ed è per questo che nel suo processo creativo Moore ha avuto bisogno di cambiare luoghi e collocazione.
“Questa musica non è scritta in pause di tempo. Viene fuori dal salire su un piano e suonare senza idea di quello che ne uscirà. Il pianoforte stesso ha una parte nel tutto, ma così anche l’esperienza di dove sono fisicamente e mentalmente, e di cosa mi succede intorno”. E Moore cerca di renderla nel disco con una composizione travolgente, che cerca l’impeto, e, più raramente, il respiro lento e profondo.
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autore: Francesco Postiglione