Ho sempre avuto un rapporto conflittuale con Stephen Malkmus, non del tipo ‘amore-odio’ che non arrivo a tanto ma più una cosa tipo ‘indifferenza-ammirazione’.
Non sono nuovo a questo tipo di reazione nella musica, se volessi fare l’elenco delle bands di cui penso questo temo che sforeremmo e di molto, però con Malkmus essa si formalizza e diventa di senso compiuto.
Già solo pensare ai Pavement e a come essi abbiano influito nel deviare il rock verso lo slackerismo acuto e la devianza loser ma non junkie (troppo borghesi per esserlo) pone dei quesiti mai risolti (certi atteggiamenti da Mascis a Beck a Black sono lì a ricordarcelo).
Andando oltre questi inutili pipponi da quarantenne della domenica pomeriggio e parlando del più recente Mirror Traffic, disco ultra incensato, devo ammettere che forse solo io non lo ho capito; ricordo solo una canzone – o meglio – ricordo che solo una canzone era interessante, Senator e che tutto il resto mi è scivolato via senza lasciare un segno tangibile.
Ma poi per tener fede a quanto detto all’inizio sappiamo che è da questi incostanti e sfuggenti artisti che ti devi aspettare il colpo basso. E Wig Out At Jagbags non è Mirror Traffic perché in Wig Out At Jagbags, senza tradire la propria natura obliqua, con grandissima nonchalance Malkmus e la sua band sfoderano davvero grandi numeri.
Ecco quindi un album caleidoscopico, uno di quelli che ti inchiodano e ti costringono all’ascolto perché ogni volta ci scopri dentro quella genialata che ti era sfuggita la volta prima.
A cominciare dall’iniziale Planetary Motion, soffice ed ingenua fintanto che non occorre tenere il morso al riff che vorrebbe aprirsi tutto al wha-wha ma che alla fine si tiene composta.
A seguire con The Janitor Revealed che introduce elementi progressivi alla King Crimson in un brano che per certi versi potrebbe essere stato immaginato da Kurt Vile.
E personaggi come Kurt Vile e Ariel Pink, capaci di rileggere certi passaggi dei settanta e degli ottanta in chiave moderna, sghemba e strettamente personale potrebbero essere tirati in ballo come possibili compagni d’avventura di questo nuovo Malkmus anche se occorre sempre ricordare la paternità di quest’ultimo, anzi, in questo caso fratello maggiore che è ben più appropriato.
Houston Hades è il pop (indie) che in quel suo coretto afferma che non ha più nessun pudore e Shibboleth sembra quasi un omaggio ai Pixies di Bossanova (e magari lo è).
Chartjunk e Cinnamon and Lesbians in piena estetica seventies rilanciano un’idea di glamour che basterebbe la metà per suggerire decine di albums futuri e riscoprirne centinaia di passati. Ed i Big Star intanto ringraziano.
Chiude Surreal Teenager con i suoi toni da filastrocca barrettiana, con quel modo tipico di cantare di Malkmus sempre tarato su un’agrodolce ironia.
Insomma il ragazzone della porta accanto è tornato e benché a lui non interessi apparire tale a giudicare dalle liriche qui presenti, l’effetto un pò Peter Pan un pò Dorian Gray ce lo fa lo stesso.
Mentre lo pensi ed il disco riparte arriva quel trombone sia in mezzo che in coda a J Smoov che prima ti chiedi cos’è e che poi ti fà sorridere sornione perché è tutta in dettagli come questo la differenza tra chi emula qualcosa o qualcuno e chi è quel qualcosa o qualcuno.
E nel caso di Malkmus – quando ce ne ricordiamo – tocca ammetterlo, tanta roba.
http://stephenmalkmus.com/
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autore: A.Giulio Magliulo