di Giuliano Montaldo, con Pierfrancesco Favino, Carolina Crescentini, Eduard Gabia, Francesco Scianna
La differenza è che nel ‘900 l’industriale faceva i conti con la sua anima nera borghese, oggi con i registri di bilancio. Bastava un “angelo”, come in Teorema di Pasolini, a sconvolgerne la vita, gli affetti, le certezze ma la “roba” restava salda in cassaforte. Nel XXI secolo, dopo il credit crunch e il collasso mondiale della finanza, per l’industriale (torinese) a non tornare è soprattutto la partita doppia, e l’anima nera è quella pelosissima delle banche.
Il maestro Montaldo ci ha messo il carico a bastoni e l’imprenditore con la faccia di Piefrancesco Favino oltre alle bestemmie degli operai deve sobbarcarsi anche le paturnie della moglie, antonianamente annoiata frigida e delusa, impersonata da Carolina Crescentini, in forma, ma con più occhiaie del solito (abbastanza fungibile invece la figura di Scianna). classica condizione da scavo dei personaggi con la vanga, che in parte riesce – ma Antonioni disossava i suoi personaggi con la punta di diamante – in parte resta in superficie, intrappolato nel romanzo d’appendice.
Angosciosa ed elegante, e perciò riuscita, la fotografia color acciaio. Alla irrisolvibile crisi iperborghese si unisce la terribile crisi reale, che però alla fine in qualche modo si risolve, o almeno tira a campare. Come dire: il capitalismo trova sempre la quadra, gli italiani non sia mai.
Autore: Alessandro Chetta