Tra i miglior cantautori rock italiani c’è sicuramente Giorgio Canali e a ridosso della pubblicazione del suo ultimo, ottimo, album, ‘Pericolo giallo’ (La Tempesta), lo incontriamo. In questa particolare intervista si scopre ancora una volta un artista molto generoso pronto ad approfondire alcune aspetti e risvolti dei suoi testi e della linea di continuità musicale che c’è tra i suoi lavori discografici. Canali come sempre non ha filtri per cui si è ritenuto accattivante riportare fedelmente i suoi pensieri socio-politici e il suo sanguigno e irreversibile pensiero antifascista.
C’è continuità tra i testi e suoni del penultimo album ‘Venti’ e quelli di ‘Pericolo giallo’?
‘Pericolo giallo’ è ‘Venti 2.0’. Le problematiche che ho affrontato con ‘Venti’ col cazzo che si sono risolte! Sono ancora lì e sono più grosse e soprattutto c’è questa cosa che reputo incredibile: il panico creato dall’alto che riesce a fotterci ancora e la maggior parte della gente non se ne accorge che i poteri lo esercitano sistematicamente. E’ una roba terrificante. Una specie di anestesia totale a livello mondiale. Ogni piccola situazione con le piccole nazioni, che potremmo chiamare delle “società per nazioni”, ognuna di queste entità utilizza questo protocollo che è spaventare la gente con paure reali o esagerate, o addirittura immaginarie, per poter fare il cazzo che vogliono politicamente e finanziariamente. Non c’è un grande cervello. Questa mia posizione sarebbe complottismo. Il problema che insiste è come quando una società per azioni va in bancarotta qui, politicamente, sembra che ci sia spesso un tentativo di bancarotta fraudolenta.
Cerchi sempre di dare la tua interpretazione su ciò che accade nella contemporaneità. Pensi di svolgere una funzione da intellettuale? Almeno per come la si intendeva negli anni ‘70?
Non mi metto alla stregua di intellettuali come Pier Paolo Pasolini, anche perché se adesso cacciasse fuori quello che cacciava ai suoi tempi, sarebbe il re dei terrapiattisti e dei complottisti. Sappilo! Verrebbe additato da tutti come ‘semplicemente’ complottista; questo è il problema! In questo momento c’è questo gioco mostruoso a ridicolizzare chi ha dei dubbi, anche da prima della storia del Covid. Appartengo alla generazione per cui la versione ufficiale dei fatti socio-politici non era mai da prendere per oro colato. Adesso le versioni ufficiali che ci vengono raccontate dai poteri viene presa subito per oro colato, altrimenti sei un delinquente, un terrapiattista, durante il Covid volevi far morire tua nonna. Capisci che è dura così esprimersi. Guarda anche l’ultimo schieramento sulla guerra in Ucraina: è assurdo. Che Putin sia una testa di cazzo, delinquente, è fuori di ogni dubbio, però che sia il più grande criminale solo lui, no! L’opinione pubblica è manipolata per cui vedi spazzata via un’intera realtà, perché ci sono dei delinquenti che combinano atrocità, vere o immaginarie che siano, e vedi l’uomo comune pronto a dire ‘si, schiacciate il bottone rosso, per radere al suolo quella situazione’. Questo è gravissimo. Il bottone rosso è un problema che ho vissuto, perché sono nato nel boom economico. La paura più grande che avevamo, quando avevamo 13, 14 anni, era che qualcuno spingesse quel famoso bottone e avviare l’olocausto nucleare. Guarda che ci siamo molto vicini, secondo me.
Quindi, qual è il tuo ruolo, artistico e sociale, in tutto questo?
Hai presente quando accendi la Tv e c’è il logo dell’emittente in basso a destra, piccolino. Io mi vedo un po’ come l’omino in basso a sinistra che urla le sue cose, da solo, come un matto. E va bene così (risate). Mi prendo per il culo da solo, se permetti.
Oggi quanto è importante per te avere un’attitudine e un approccio punk?
Nel punk ci sono caduto da piccolo, come Obelix nella pozione. Che cazzo ci posso fare? Facevo delle cose, che per me non erano punk. Quando avevo 18, 19 anni ho partecipato a delle rassegne con delle robe assurde e siamo stati considerati il gruppo punk numero uno. Per me il punk non esisteva nemmeno nella mia testa. Quella era la mia musica. Non ho mai avuto creste, spille, tatuaggi strani. Sono io, il punk mi è capitato addosso, mi ha travolto tipo il tir in autostrada, ci sono cascato in mezzo. Secondo me è l’unico modo di approccio. La cosa più bella del punk era che potevi fare delle cose, senza saperle fare. Suonare senza saperlo fare, cantare senza saperlo fare. È bellissimo! Poi impari anche.
Pensi che oggi essere concettualmente punk possa contribuire a cambiare in meglio le cose?
Non so. Effettivamente la musica ha fatto qualcosa negli anni però non è stata certo la musica a far ritirare le truppe americane dal Vietnam. È chiaro che la scelta di una fetta di gioventù all’epoca si è lasciata guidare da certe cose. Come negli anni ‘90 quella specie di hip hop saltellante, violento, italiano ha aiutato la gente pensare in un’altra maniera.
Mi sembra che tu abbia un atteggiamento disincantato con il passare del tempo…
Si, sono sempre stato disincantato. Non ho mai creduto che si possa avere un effetto reale sul pensiero della gente. Io cerco semplicemente di trovare qualcuno che la pensi come me o quasi, poi possiamo discutere sempre, e potermi guardare negli occhi con queste persone come faccio con il mio pubblico durante i live. E’ questo che mi mantiene in vita. Sono come Dracula, un vampiro, che vive degli sguardi e delle emozioni della gente nei club. Io sono vivo dal vivo. Faccio album solo per poterli portare nei concerti, quindi può sembrare stupido ma mi nutro delle emozioni e del fatto che ci possa essere qualcuno che capisce quello che dico. Non credo di poter cambiare niente e non credo che neanche quelli più grandi di me, grandi nel senso di capacità di audience, possano cambiare le cose. Però se trovi qualcuno che la pensa come te intanto non ti senti solo. la società tende ad isolare le persone, perché le persone insieme fanno paura. Pensa soltanto alla questione delle auto elettriche: la maggior parte delle persone non se le potrà permettere. Cosa vuol dire? Che rimani a piedi, quindi non viaggi e resti a casa davanti alla Tv, a internet, che fino a 10 anni fa era di tutti. Adesso “quelli” hanno capito come si usa. Quelli in senso lato, non lui. La tendenza è questa. Se ci pensi è riconducibile al famoso Piano di rinascita della P2. Tv via cavo, tutti a casa!
È anche una mia ‘ossessione’ quella della Piano di rinascita democratica della P2, che Berlusconi e Renzi hanno applicato al 100%. Il ‘Jobs act’ è stata l’ultima riforma che ha garantito la piena applicazione del programma della P2, l’ulteriore abbattimento dei diritti dei lavoratori, il depotenziamento dei sindacati. Con me quindi sfondi una porta aperta da questo punto di vista.
È quello che stiamo vivendo in un mondo che sembra progettato da quelli lì. È inquietante, perché non siamo riusciti nemmeno un po’ a reagire.
Quindi c’è ancora bisogno di Resistenza? Nelle tue canzoni fai ancora riferimento a questa pratica.
Si, tutti i giorni, ma se sei un resistente ti danno del delinquente, perché la Resistenza è solo quella con la R maiuscola, della celebrazione di 80 ani fa. Tutto il resto non va bene. E poi perché la Resistenza è qualcosa di storicamente valido, che se te la dimentichi sono cazzi. Se ci si dimentica quel momento sono ‘Banditen’, ‘Acthung Banditen’!
Soprattutto per uno come te, che è nato a Predappio…
(risate) Te pensa, che se negli anni ‘70 qualcuno avesse provato a mettere su dei negozi di souvenir, sarebbero andati a fuoco. Adesso ci sono otto vetrine, di manganelli, di ‘me ne frego’, di teste di pelato, tra l’altro ‘Made in China’. Mi ricordo di un 25 Aprile, celebrato subito dopo il movimento del ‘68, un corteo immenso, sia di resistenti, con bandiere e cappelli d’alpino, sia giovani con il fazzoletto, che urlavano ‘fascista carogna, ritorna nella fogna’. Lì se ci fossero stati quei negozi, sarebbero andati a fuoco tutti. Io chiedevo a mia madre ‘ma cosa dicono’? e lei sul balcone che diceva ‘c’hanno ragione’.
Perché oggi hanno aperto questi negozi e nessuno dice niente?
Perché nel ‘93, ‘94 qualcuno ha sdoganato il fascismo. Chi è quel qualcuno? Ancora aleggia.
È morto troppo tardi? Come diceva Gaber ‘i vecchi bisogna ammazzarli da bambini.’
Anche a me (risate).
No, assolutamente, mi riferivo a grandi personaggi politici dell’ultimo trentennio.
Gaber era una bella voce fuori dal coro, un cervello fuori dal comune. Se la metà dei cantautori impegnati avessero avuto la sua lucidità di ragionamento, avremmo avuto una stagione più bella di quella che è stata.
Venendo al tuo ultimo album. Nella traccia “C’era ancora il sole” sembra che ci sia una continuità con il brano “Eravamo noi”. È così?
Si, infatti, a un certo punto mando la canzone a Stewie (Dalcol, ndr), l’altro chitarrista, e mi caccia fuori quelle frasi di chitarra e gli domando: ‘ma perché mi ha mandato il riff di ‘Eravamo noi’?’ Lui mi ha detto di non essersene accorto, così ho anche citato ‘Eravamo noi’ dentro al testo.
Non mi riferivo soltanto alla citazione e all’arrangiamento musicale, ma anche alla tematica. Sembra quasi un voler andare avanti.
‘Eravamo noi’ è una cavalcata intorno ai miei anni dell’adolescenza, della post-adolescenza, della maturità, ecc. Qui c’è tutto quello che è successo negli ultimi tre anni con un finale piuttosto tragico, che spero di sbagliarmi, perché rischiamo di entrare in guerra. Quando usi il panico come modo di governare è chiaro che si propaga anche ai livelli inferiori e ti viene anche sul quotidiano. Probabilmente è quello che chi sta al potere, vuole. Queste persone sono più propense a dare ragione a chi sta al potere.
Come hai costruito “Meteo in quattroquarti”, nella quale ti metti a nudo come in “Rotolacampo”? Inoltre in questo disco c’è molto sole e poca pioggia, a differenza dei due precedenti e allo stesso tempo è il secondo disco in cui bestemmi.
Il mio flusso di coscienza va con le nuvole, non ci posso fare niente. Sono meteoropatico a palla. Se adesso apro la finestra e vedo che si è riannuvolato esco con uno stato d’animo non felice. Sono una persona solare. Ma ti rendi conto? Un nichilista solare, ma dove cazzo esiste (risate).
Nichilista solare è un ossimoro bellissimo.
Ogni tanto mi avventuro in queste descrizioni in quello che succede nel cielo e attorno e poi mi ci trovo dentro. Scrivo così. ‘Meteo in cinque quarti’ era la stessa cosa, parlava di nebbia, di vento e di pioggia, “Meteo in quattroquarti” parla di sole, vento, temporale, uragano e di storie mie. La cosa buffa è che la strofa finale di questa canzone è venuta fuori guardando la foto della mia donna attuale, la persona che amo adesso e ho scritto già il finale di questa storia, perché tanto so che va tutto a puttane nella vita. È normale! Se analizzi i miei testi c’è spesso il mondo che entra nel privato, il privato che deborda nel casino del mondo.
In “Come si sta (La guerra di Pierrot)” come hai lavorato per la ritmica e gli arrangiamenti, perché mi hanno evocato alcune cose dei Litfiba degli anni ‘90?
Nella mia testa volevo ripescare un’atmosfera alla Clash, però magari non ci sono riuscito. Sono un italiano di merda, sono troppo italiano.
Con quelle chitarre acustiche che a volte usi alla De Gregori ci può stare. Ultimamente mi sembri maggiormente diretto verso la ballata elettroacustica.
Mi piace tantissimo la ballata elettroacustica.
Qual è il tuo processo creativo nella costruzione di un brano?
Fino a ‘Venti’ gli album li abbiamo tutti composti improvvisando in studio insieme, cercando di trovare delle atmosfere che puoi codificare in forma canzone, tagliando le registrazioni sul multitraccia. È sempre stato così. Poi, io, in seguito, scrivevo melodie e testi. Qui, più o meno è stata fatta la stessa cosa; qualche volta l’idea partiva da me e c’era già qualche abbozzo di parola, poi facevamo girare le tracce, perché come per ‘Venti’ abbiamo registrato a distanza, perché era difficile trovarci. L’altra volta l’abbiamo fatto per i DPCM, questa volta per scelta. È diverso! I testi li scrivo alla fine. Le parole sono tutta farina del mio sacco.
Prendi appunti per poi finire la canzone quando hai le idee più chiare?
No, non prendo appunti. Le cose che mi vengono in mente, o mi restano nella testa, e le caccio fuori se credo ne valga la pena per una canzone. Se non restano in testa vuol dire che sono cose talmente labili che non vanno. È chiaro che se ti viene la frase che ritieni micidiale la segni, ma non mi ricordo di averlo fatto negli ultimi tre album. ‘Pericolo giallo’, inoltre, è venuto fuori in maniera strana: ho scritto un testo per una compilation celebrativa per la Festa della Liberazione, che è ‘Morti per niente’, e i responsabile del progetto mi hanno detto che non era “celebrativo”, che ci poteva essere qualche compagno che se la prendeva e così non è uscito. E così ho detto: “ragazzi, abbiamo un pezzo che spacca, andiamo avanti e facciamone altri 10/11 e il resto della banda ha detto ‘ok’ “. Da fine febbraio a inizio maggio c’era già tutto l’album. In meno di due mesi, da zero, senza nessuna idea musicale, senza una parola segnata nel muro.
Stai portando avanti anche l’attività di produttore?
No, mi sono rotto di stare in studio, lo faccio solo per amici.
A proposito di amici, anni fa girava la voce che dovevate fare un disco tu e Umberto Palazzo. Quando lo fate?
Mai. Il Santo Niente stavano provando delle robe nostre, e credo le abbiano anche registrate, mentre noi abbiamo registrato ‘Luna viola’. Poi stavamo lavorando ad altre cose ma ad un certo punto le cose andavano talmente per le lunghe che il progetto si è arenato. E così ‘Luna viola’ l’ho messa sull’album ‘Perle ai porci’. Poi Umberto ha le sue idee sulla vita e io le mie e l’ultima volta che ci siamo sentiti è stato nel 2018 o 2019. Dovevamo registrare le loro canzoni, rifatte da noi e viceversa con un paio di cover tra cui ‘Ozio’ dei Wolfango.
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