Piccoli grandi scrigni che si aprono e restituiscono umori, odori e immagini di quel mistico sacro mistero che la tecnologia liquida della nostra contemporaneità ha dissolto in laminate esternazioni artistiche.
Ed è così che il “Live in Cuxhaven 1976” (Spoon Records/Mute – PIAS) dei Can (che si va ad aggiungere e a completare un momentaneo ideale trittico alle altrettante recenti stampe di pregio dei live del 1975: “Live in Brighton” e “Live in Stuttgart”) colpisce al cuore con tutti i suoi atti impuri di una polluzione suonata, registrata e prodotta con una sensibilità ormai dimenticata, ma che non può non far scorrere un fremito di nostalgica gioia per chi è cresciuto attribuendo alla musica un viscerale e totemico valore da fumoso happening sotterraneo.
Quattro brani senza titolo, solo numerati (Cuxhaven 76 Eins; Cuxhaven 76 Zwei; Cuxhaven 76 Drei; Cuxhaven 76 Vier), a certificare il valore unico ed estemporaneo delle esecuzioni (come lo è anche per i citati live di Brighton e Stuttgart); esecuzioni con una identità autonoma dai loro lavori in studio e comunque tese a comporre nuovi momenti musicali.
Non a caso, nelle note scritte dall’autore francese Pascal Bussy, si legge: “Until the end, Can gigs were not only logical extensions of their studio work, they were definitely a work in itself. And we are so fortunate to still have a lot to discover”.
Il tecnicismo dei Can si pone al servizio di un’improvvisazione mai di maniera, mai circense, mai ostentata di virtuosismi, ma flusso di pura coscienza che testimonia l’enorme valore della musica tedesca di quegli anni.
autore: Marco Sica