Se non fosse stato musicista Casey Crescenzo avrebbe potuto fare lo scrittore o il regista. Impossibile per lui dirla tutta nel breve spazio di una canzone o di un album, molto meglio una saga, di cui Rebirth In Reprise è il quarto capitolo.
Ecco perché The Dear Hunter si considera in qualche modo progressive.
E dire che il trentaduenne di Providence ci ha anche provato ad esser pop nel senso moderno del termine, ma poiché ogni artista nella sua opera – anche se per metafore – parla di sé stesso, la cosa non ha funzionato.
Eppure The Dear Hunter il pop nelle sue corde ce l’ha, ma è il grande pop dei ’60 e dei ’70, quello che cura gli arrangiamenti con meticolosità, dalle grandi ambientazioni orchestrali e con il piano protagonista (Casey Crescenzo ama molto Brian Wilson), determinante nella fase di scrittura e di composizione.
Questo caleidoscopio che gira veloce può anche essere una sfida per chi vuole cimentarsi a cogliere le tante influenze che si affacciano e si confondono: noi ci abbiamo intravisto Jethro Tull, Electric Light Orchestra, Queen, Genesis, Steely Dan, Nino Rota e Coheed & Cambria, ma prima di farsi idee sbagliate, dare un occhio al roster dell’etichetta (la Equal Vision) e comprendere il retroterra emo/post-hc che suggerisce un possibile percorso che porta fino a questa sorta di prog per ‘alternativi’.
Se il progressive è sopravvissuto al tempo grazie all’innesto con altri generi, come ad esempio quello con il metal, The Dear Hunter pur non rinunciando a momenti di grande energia evita le contaminazioni estreme ed offre una possibile evoluzione al genere che potrebbe essere ben vista anche da chi se ne è sempre tenuto lontano.
In merito alla prolissità invece crediamo che proprio non si possa far nulla e anche per questo l’ascolto richiesto deve essere di tipo immersivo.
Casey non è uno che si spreca per poco.
http://www.thedearhunter.com/
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autore: A. Giulio Magliulo