Vent’anni fa gli Helmet pubblicavano il loro terzo album, Betty, che a dispetto di quanto si possa credere, non è stato il loro maggior successo commerciale. Meantime lo ha superato in tal senso.
Betty segna semmai un’apertura verso le sonorità che quel 1994 richiedeva ed è così che la formazione più importante del noise-core newyorkese entra nella colonna sonora de Il Corvo – insieme a nomi ben più blasonati – con Milquetoast.
E come si usa fare da un po’ di tempo a questa parte per ogni compleanno che si rispetti, la band decide di intraprendere un tour in cui eseguirà integralmente quell’album in ogni venue.
Noi siamo andati a Ravenna, al Bronson, per rendere omaggio a Page Hamilton (nella foto) e per assistere dal vivo alla band che insieme a Unsane e Cop Shoot Cop ha fatto sì che il CBGB fosse il tempio del rock deviato ancora per un po’ e che con nomi quali Jesus Lizard, Cows e Melvins ha fatto scuola a tutta una generazione che di lì a poco purtroppo spazzerà via perfino i precetti dei loro stessi maestri.
Gli Helmet di tutta quella scena son stati forse quelli che più si son distaccati dai residui hardcore, garage e punk degli anni ’80 per andare ad abbracciare una strana sorta di metal sincopato, freddo e disumano, trafitto da dissonanze avanguardistiche come la scuola di Glenn Branca ha insegnato. Eppure sempre molto emotivo, fino all’eccesso.
Ecco in cosa hanno peccato successivamente i discepoli del nu-metal: non è bastata l’emulazione di quel suono per diventare grandi, mancavano i trascorsi downtown!
E se si è sempre fatto fatica ad utilizzare il termine post-metal per gli Helmet, forse con un po’ di coraggio si sarebbe anche potuto dirlo: bastava prestare un orecchio ai cugini Prong per comprenderlo.
Ed invece no. La band è sempre stata avviluppata nelle spire mediatiche dell’alternative rock allora cosiddetto e a ben vedere, dopo quelle prime pietre miliari scagliate in faccia al mondo, loro stessi han deciso che quel letto era più che comodo, noi lo sappiamo ed ecco perché con sguardo lucido e impietoso attendiamo Page Hamilton al varco.
Noi, poveri illusi!
Era lui che attendeva noi per spaccarci tutte le ossa. Per due ore. Uno show in cui si sono versati litri e litri di sudore.
C’è soltanto Page della formazione originaria, gli altri compagni di palco si sono aggiunti nel corso del tempo; prima il batterista Kyle Stevenson dal 2006, poi il già citato Beeman dal 2008 ed infine il bassista Dave Case dal 2010.
Durante la seconda parte del concerto, cioè quella in cui – terminato Betty – si suoneranno brani estratti dai restante repertorio helmetiano, c’è stato perfino un pogo.
In verità la differenza d’impatto tra le tracce degli ultimi album (Seeing Eye Dog e Size Matters che ha ormai già dieci anni) ed i primi Meantime e Strap It On dal vivo è stata minima come la risposta del pubblico, e questo legittima parzialmente certe risposte laconiche di mister Hamilton che a quanto pare tiene molto a tutti i suoi lavori, come è giusto che sia.
Saremo poi noi a scegliere quali dischi ascoltare in casa propria.
Abbiamo fatto alcune domande al poco loquace Page Hamilton:
Gli esordi degli Helmet corrispondono anche agli esordi della fusione tra rock alternativo e musica estrema. Voi eravate già oltre quell’idea, proponendo una miscela che per quell’epoca era già incredibilmente moderna e che infatti influenzerà molte band e generi a venire. Non ne ricordo molte di band come voi, forse solo i Prong. Qual’era il concetto base su cui si costituivano gli Helmet, se è possibile descriverlo?
Page Hamilton: Essere grandi, essere originali, essere onesti.
Nonostante la musica estrema con le sue contaminazioni sia andata molto oltre, l’intensità che si può trovare nei vostri primi tre albums è raro trovarla in band contemporanee. Anche voi avete questa percezione?
Non saprei, non ho molta familiarità con le band moderne. Però l’intensità che noi proviamo a metterci è stata ed è la stessa per ogni nostro disco o concerto.
Quando una band proveniva da New York, indipendentemente dal genere musicale che proponeva, spesso aveva un suono riconoscibile poi definito New York Sound. E’ ancora così?
Penso che l’ambiente influisca molto sulla musica che si scrive. New York ha avuto sicuramente un forte impatto sugli Helmet.
Quali artisti o band di oggi stimate, ascoltate o semplicemente trovate interessanti?
Ultimamente Ralph Vaughan Williams, Thelonious Monk e Jim Hall.
Il vostro pubblico oggi è lo stesso degli inizi o è cambiato?
Molti fan devoti sono ancora con noi, ma abbiamo anche tanti nuovi giovani fan.
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autore: A.Giulio Magliulo