La new wave riprende possesso delle proprie azioni! Interpol che meraviglia!!? Adoro le provocazioni, lo ammetto! E’ dunque finita l’epoca del rock trito e ritrito sulle scopiazzature di Ian Curtis? Ce ne sono di monografie contemporanee da prendere ad esempio.
I The National sono parte della scena “mistica” dell’Ohio, dove ogni aspetto creativo pare si rivolga a mondi paralleli ad una vita ultraterrena. In cerca di una trasformazione…si muovono verso New York spinti da nuove sollecitazioni più attuali, trasformando il materiale delle loro cupe ballate rupestri, in una composizione underground, metropolitana, attuale a molti altri artisti come loro… si invaghiscono degli australiani American Music Club e innalzano il loro operato a riferimento primo. Muovono i passi calcolando ogni punto di analisi e rottura tra il folk stile Tindersticks e la new wave scarna, elettronica, incisiva. Il calore delle loro canzoni è quasi un oggetto tangibile.
Un rapporto a quattro, i fratelli Aaron e Bryce Dessner conciliano basso e chitarra come fossero l’una figlia dell’altra, supportati dalle orlature dei fratelli Devendorf (Scott e Bryan), chitarra e batteria. In questa ultima fatica il supporto arriva persino da Sufjan Stevens con l’orchestrazione di “Padma Newsome” dei Clogs…donando un colore avantgarde. Come dire, un’orchestra da camera che trasforma le sessions in stile jazz…fino al post rock più etereo, evanescente, basta ascoltare “Squalor Victoria” per assimilarne una fetta. Una delle mie preferite, “Brainy”, è caratterizzata dalla voce secca e guizzante di Matt Berninger che trasforma una canzone d’amore in una ossessione parossistica.
“Fake Empire” è l’analisi di un mondo malsano attraverso la voce profonda, languida, arresa, che ricorda un Cohen degli esordi, il piano le dona spiritualità innalzandola a interprete principale.
“Mistaken for stranger” è una canzone intrisa di valenza sociale, disincantata, forte nei toni, asseconda le parole sferzanti con altrettanto sferzante melodia, ritmiche secche e voce più lugubre e degna della memoria Joy Division.
Per certi versi ricordano i Red House Painters, ma il folk che li “attanaglia” non è nient’altro che una rivisitazione new wave di melodie che altrimenti risulterebbero troppo complesse, poco accessibili…l’esistenzialismo ha preso piede …e si sta espandendo dalla metropolitana di New York!
Autore: Lorenza Ercolino