Dopo cinque anni di pausa trascorsi per Healy tra Berlino e qualche piccola tappa europea, in una parentesi solista mai davvero scissionista né autocelebrativa, eccolo qui, Where you stand, l’album della maturità di una band che gira intorno ai venticinque anni di carriera. “Why did we wait so long?” cantano le parole del primo brano, Mother. La risposta, una delle tante, è questa: cinque anni sono un tempo giusto per arrivare a un traguardo preparati. Molti dei colleghi brit pop sono scoppiati dando vita a discutibili progetti, quando non peggiori almeno troppo simili alle ceneri dei vecchi; altri compagni di quegli anni d’esordio invece hanno sfruttato il recente revival per costruire parodie di se stessi in un effetto plastificato che invece di richiamare vecchi fan li ha fatti solo sentire più vecchi di vent’anni. I Travis hanno giocato bene le loro carte, e se allora con Where you stand li ritroviamo esattamente dove li avevamo lasciati, insieme, con un sound conosciuto e riconoscibile, i testi sono fondamentali per capire che il vecchio gruppo è cresciuto in saggezza lasciando a casa paternalismi e prose patetiche.
E allora è una serie di ammonimenti scritti in poesia, la chitarra arpeggiata che fa il suo ingresso sulla prima traccia e quasi mai esce dalla scena, accompagnata dal pianoforte. Why this time move so fast?/ Precious things never last scandisce Healy in Reminder per poi chiudere con una soluzione che per i Travis ha sempre funzionato e che detta da altri sarebbe suonata banale: only love, no regrets.
Poi c’è Where you stand. E magari non è un caso che l’album abbia preso il nome di questo primo singolo, che a dirla tutta sembra quasi un manifesto, una firma che sottoscrive un patto fatto principalmente con chi, ai tempi di Good Feeling (1996), aveva poco più di sedici anni, uno zaino invicta, il testo di All I want to do is Rock scritto nel risvolto interno dello zaino. Perché chi ha iniziato a conoscere i Travis in presa diretta col loro debutto, ritrovarli nel 2013 con un album riuscito come questo è molto più che una piacevole sorpresa. Il patto sancito dice: allora, come te la passi? È un sacco che non ci vediamo, ma hai visto? La promessa è stata mantenuta, ti saremmo stati accanto sempre. Ora siamo tornati. Raccontaci chi sei diventato.
Brani come Another Guy o A different Room si ascoltano, ma si ha l’impressione che siano loro ad ascoltare noi, ritrovando situazioni o pensieri che almeno una volta ci sono appartenuti. Alla fine del primo ascolto dell’album completo accade una cosa importante: si resta un attimo ad assaporare il retrogusto dell’ultima canzone, con lo strascico di pianoforte che ancora vibra nell’aria. Poi ci si rende conto di non aver rimpianto mai un brano come Sing. Che non c’è stato tempo. Che Where you stand ha vinto senza ricorrere alla carta della nostalgia.
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autore: Olga Campofredda