Il backstage della Locanda Atlantide è un buco nero che ti risucchia in un quadro di Dalì, una volta scese le scale. Una scrivania, un manichino bianco- spettrale- che veglia sulla stanza, un numero infinito di oggetti kitsch che vengono da un altro tempo, altri mondi.
Dan Treacy (nella foto) non ci riesce, a stare fermo. Con lo sguardo meravigliato di un bambino, osserva tutto come attraverso i riflessi della vetrina di un negozio di giocattoli in inverno, l’inconfondibile cappello di lana calato quasi sugli occhi. Barcolla. Sul divano ci sono i ragazzi di Touch the wood, Liam Young, dj Club NME, con la sua donna, e un uomo barbuto e grosso troppo fricchettone perfino per essere una rockstar: Texas Bob, chitarra dei TVPs – con la telecamera in mano che da anni è ormai innesto permanente del suo avambraccio – richiama costantemente Dan all’ordine, per l’intervista.
Dan si siede e guarda nel vuoto, svogliatamente accenna qualche monosillabo, un “si”, un “no”, un “fuck”, “Doherty è un grande, Doherty ha capito tutto”.
Texas Bob cerca di rispondere alle domande al suo posto, la mente lucida dei Television Personalities da quando, a fine anni settanta, durante un concerto tributo a Syd Barrett, lui e Treacy decisero di mettere su un gruppo.
Ogni tanto cerca di coinvolgere Dan, ci incoraggia a provare ancora a parlare con lui, dolcemente. Allora quasi sembra essersi rotto il ghiaccio, ma Dan Treacy è troppo bruciato per rispondere con coerenza a qualsiasi cosa.
“Basta” dice “adesso chiedetemi delle divisioni!”. E una cosa così assurda io nella mia vita non l’avevo mai sentita. Né vista. Perché a questo punto il giovane batterista della band (che tra l’altro è il figlio bianco di Hendrix, per quanto mi riguarda) tira fuori una calcolatrice rossa grande quanto un I-Pad e inizia a formulare a caso divisioni a tre cifre. Dan ci pensa tre secondi al massimo. Spara il risultato: perfetto. E allora ci provo anche io. Il risultato è un numero periodico, azzarda le prime tre cifre: perfette.
Nel frattempo la serata nel locale è cominciata, si sentono le prime canzoni dei Wires provenire dal palco. Dan si alza ed esce fuori con il suo passo strascicato a prendere un’altra birra e a dare un’occhiata.
Texas Bob mi guarda come a giustificarlo. Abbiamo finito a stento l’intervista.
“Se non fosse per te– gli dico-i Television Personalities sarebbero finiti troppo tempo fa.”
“Non è vero, non dire così” fa lui, mentre riavvolge un filmato nella sua telecamera e mi mostra il clip degli MGMT che suonano live la canzone dedicata a Dan Treacy. “Anche Alan McGee ha detto lo stesso, ma non è vero. È Dan. I TVPs sono Dan. È lui il poeta.”
Esco dal camerino canticchiando il motivo di Long Time Gone, 1995, da I was a mod before you was a mod.
“Qual è la canzone più bella che hai scritto?Quella che senti più tua?” avevo chiesto a Dan. Lui mi parla di una canzone dell’assenza. Dell’essersene andati via per sempre. Una canzone come un testamento.
Intorno tutto è già postumo.
L’ultima volta che i Television Personalities sono venuti a Roma me la ricordo bene: il 27 novembre 2008 al Circolo degli Artisti. Eravamo una trentina di persone che avevano sfidato la pioggia per sentire una manciata di canzoni stonate. Non mi aspettavo niente di meglio da questa nuova data romana. Del resto quelle canzoni stonate a me erano andate benissimo. Mi fa piacere notare, però, che il concerto della Locanda Atlantide inizia in modo sostanzialmente diverso.
I TVPs sono venuti a promuovere il loro ultimo disco, A memory is better than nothing, e la psichedelica prende possesso del palco con prepotenza. Tanti assoli dalla chitarra di Texas Bob, un basso spaventoso che ti perfora gli organi interni. Treacy partecipa all’evento come un fantasma al funerale del suo cadavere. C’è ed è assente. Suona la chitarra in modo grossolano, le dita percorrono a tentoni le note in modo così evidente che potrebbe sembrare quasi un effetto voluto, dadaista.
This angry silence è la prima canzone che riusciamo a riconoscere, arriva dopo un po’, e purtroppo è la prova che qualcosa, nella testa di Treacy, sta precipitando. Interrompe più volte le strofe, lascia scoperto il tappeto di basso, chitarra e batteria, che lo accompagnano, Texas Bob si lancia in assoli falsamente previsti dalla canzone mentre Dan non riesce neanche a rimettere il microfono nell’asta. Geoffrey Ingram è l’ultima canzone che canta prima di abbandonare il palco e crollare nella parte retrostante. Il concerto non era cominciato neppure da venti minuti. Nella sala piena cala un silenzio imbarazzato, qualcuno si allontana. Texas Bob allora prova a chiamare l’amico, il pubblico si accoda, batte le mani, “Dan! Dan! Dan!”, ma non c’è risposta.
Il batterista torna dal retro del palco e dice che oramai è andato, che non ce la fa a tornare. Texas Bob si scusa, non smette mai di sorridere, la voce assume il tono dell’Anchorman, del One Man Show. Cominciano ad eseguire canzoni su richiesta: Silly Girl, Picture of Dorian Gray, Part time Punks; lui e il bassista si dividono le strofe, la sensazione è quella di un karaoke gestito male.
Prima di ogni canzone Bob accenna sempre una piccola introduzione: questa è una canzone che Dan ha scritto a Chelsea, nel 1975, quest’altra è una bellissima canzone di Dan che…eccetera. Eccetera. Eccetera.
Penso al concerto Tributo a Syd Barrett, al quale i due amici si erano conosciuti. Penso al concerto dei TVPs, alla Locanda, che lentamente si è andato trasformando in un tributo a Dan Treacy. Le parole esatte sono quelle di una sola canzone, Jugband blues, il testamento di Syd Barrett:
It’s awfully considerate of you to think of me there|and I’m most oblie to youfor making it clear|that I’m not there.
È strano pensare che voi mi crediate qui. Meglio parlare chiaro. Io non ci sono. Io non ci sono.
Come Barrett, anche Treacy si è lasciato corrodere dal genio. Non ha saputo tenerlo a bada. Tutto, intorno a sé, è già morto. È andato. Tutto quello che fa è già postumo. La distruzione a volte è la risposta più immediata alla creazione. È allora anche Treacy ha lasciato il suo testamento.
“Qual è la tua canzone più bella?Quella che senti più tua?”
“Long time gone” ha risposto.
And I haven’t got nine lives|so I think I’ve had my time|I’m gonna be a long time gone| maybe you might miss me.
Ho fatto il mio tempo. Forse sentirete la mia mancanza.
Chi era alla Locanda Atlantide lo scorso 25 settembre non ha assistito a un brutto concerto. Ha assistito alla fase terminale di una parabola che ha rubato alle lucciole il segreto di come si impara a brillare, per poi lentamente morire. E una grande lezione di umanità, di affetto fraterno e sincero che Texas Bob e tutta la band hanno mostrato nei confronti di un uomo che del loro vecchio amico oramai porta solo il nome.
I Television Pesonalities continuano a suonare. Quando smetteranno, sarà per Treacy l’eutanasia definitiva.
Autore: Olga Campofreda
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