Quando nel 1999 fu pubblicato “2”, il secondo lavoro in studio degli statunitensi The Black Heart Procession (creatura di Pall Jenkins e Tobias Nathaniel), si intuì da subito che si era innanzi a un disco “speciale”, di quelli che sarebbero entrati a far parte della “hall of fame” di un’intera generazione, occupando un posto di culto nella “discografia” dell’indie rock.
Se, infatti, con il più che positivo esordio “1” del precedente anno erano state segnate le coordinate da seguire (si pensi a “The Waiter”, “The Old Kind of Summer”, “Release My Heart”, “Blue Water – Black Heart”, “Heart Without a Home”, “Square Heart”, “A Heart the Size of a Horse” …), il centro era stato ora raggiunto colpendo dritto al “cuore” e tingendolo di “nero”; l’indie-rock di “2” era intriso di un più maturo folk e abitava stanze emotive ora desertiche ora romantiche o gotiche e, calato nel suo pagano e terreno misticismo (o)scuro, raggiungeva esatto equilibrio ed esatta tensione, come nelle eccezionali “A Light So Dim”, “Your Church Is Red”, “When We Reach the Hill”, “Gently Off the Edge”, “It’s a Crime I Never Told You About the Diamonds in Your Eyes”, “The Waiter no. 2” e “The Waiter no. 3”: i The Black Heart Procession erano riusciti a “creare” una precipua “crasi” tra i Calexico di “The Black Light” e i Godspeed You! Black Emperor di “F♯ A♯ ∞”.
Come spesso accade i “miracoli” restano unici e i The Black Heart Procession non sono riusciti a restituire lavori discografici all’altezza di “2”, pur mantenendo nella media una scrittura più che buona sin dal successivo bel “Three” (“We Always Knew”, “Guess I’ll Forget You”, “Never from This Heart”, “A Heart Like Mine”, “On Ships of Gold” … ne sono una prova).
Dopo l’interlocutorio “Amore del Tropico” (che vede anche l’introduzione di sonorità latinoamericane e da cui è da segnalare, oltre al brano eponimo, la riuscita calda “A Cry For Love”), l’operazione di recupero delle proprie origini e la volontà di restare se stessi ma al contempo tracciare “solchi” più diretti, ficcanti riesce con “The Spell” del 2006 (in cui si distinguono “The Letter”, “Tangled”, “The Spell”, “Return To Burn”, “Gps”…) per concludersi (come LP) con “Six” del 2009 (prima e dopo singoli ed EP tra cui da citare “A Three Song Recording” pubblicato nel 1999 oltre a ricordare la partecipazione nel 2004, con la presenza di Solbakken, alla storica “collana” In the Fishtank, di cui, con piacevolezza, ho memoria delle collaborazioni tra Tortoise e The Ex, Low e Dirty Three, Motorpsycho e Jaga Jazzist Horns, Sparklehorse e Fennesz …).
Ed è lungo queste “direttrici” che si è mosso il concerto che i The Black Heart Procession (in formazione a quattro composta da Pall Jenkins alla chitarra, voce e saw, da Tobias Nathaniel alle tastiere e chitarra, Joshua Quon al basso e Scott Mercado alla batteria e in più occasioni alle tastiere), hanno tenuto il 1 agosto 2024 al Moulien Club di San Nicola la Strada – Caserta (un evento organizzato dall’associazione Il Gufo), in cui, con ispirazione, in un ambiente molto “caldo” non solo per il pubblico ma anche per la temperatura estiva che si è fatta sentire prepotente in sala, hanno proposto dal vivo il “meglio” della loro produzione, suonando i brani più efficaci e immediati del repertorio; soluzione questa sicuramente funzionale per un live che si è mantenuto saldo sui sicuri binari delle “partiture”, prediligendo il “certo” all’ignoto delle estemporanee divagazioni, anche lì dove si sarebbe “naturalmente” potuto osare (per tutte l’assolo di chitarra in “A Cry For Love” o nel finale di “It’s a Crime I Never Told You About the Diamonds in Your Eyes”). Uniche divagazioni nell’ottimo inedito (“new song” come dallo stesso Jenkins detto), una ballata indie lenta e d’ambiente (che da quanto si apprende sembrerebbe intitolarsi “Winter Again”), e nel finale di serata con l’altro inedito (ma da tempo proposto dal vivo) “Borders”.
L’apertura è stata affidata all’intima “When You Finish Me” (da “Six”), che Jenkins ha eseguito come in “preghiera” inginocchiato, per poi, riavvolgendo il nastro, passare per la bella “Tangled” (da “The Spell”), toccare le latitudini dei “tropici” con “Tropics of Love”, “Broken World” ed esaltarsi con la “nera” e intensa “A Cry For Love”.
È stata poi la volta delle piccole grandi “perle” (dallo scrivente attese) quali le sempre splendide “It’s a Crime I Never Told You About the Diamonds in Your Eyes” (da “2”), “Blue Water-Black Heart”, “Square Heart” (da “1”), una pianistica (rispetto al pump organ originario) e più “fluente” “Blue Tears” (da “2”), “Letter” (da “The Spell”), “Your Church Is Red” (da “2”), per un “cuore” del concerto pulsante, vivo e di alto livello.
Dopo la già citata “Winter Again”, si è ripartiti con un altro classico: “Release My Heart” (da “1”) a cui è seguita, dopo che la chitarra è stata data per l’occasione nelle mani di Nathaniel, “The Spell” (da “The Spell”), che ha chiuso apparentemente il concerto.
I The Black Heart Procession sono, infatti, “usciti” nuovamente e Jenkins ha suonato la sua celebre saw nella malinconica e narrativa “The Old Kind of Summer” (altro brano storico da “1”) per poi congedare nel modo migliore un’attesa e riuscita serata con la conclusiva e avvolgente “Borders”.
Come postilla finale, un desiderio personale non realizzato: mi avrebbe fatto piacere ascoltare dal vivo anche “A Light So Dim” e “The Waiter no. 3” … ma non si può avere tutto!
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