The National sono la band indie più importante degli ultimi dieci anni. Con il precedente album Boxer (2007) hanno riscosso la stima unanime della critica e del pubblico. Nessuno come loro è stato in grado di narrare il declino del sogno americano nell’era di George W. Bush.
Tormentate storie d’amore, squarci crepuscolari d’intimità che disegnano il senso di smarrimento e il fallimento dei protagonisti. Poesie metropolitane impastate da un folk-rock teso e sincopato. Non a caso Fake Empire, forse il loro brano migliore, ha accompagnato la campagna di Barack Obama, aprendo tutti i suoi comizi elettorale.
I National sono ora giunti al punto focale del loro percorso artistico. Quello in cui le band più dotate di talento riescono a farsi conoscere da un pubblico più vasto, senza tuttavia svendersi o snaturarsi.
Con High Violet i nostri amici ripropongono al meglio la loro musica, solo con una maggiore enfasi sulla dimensione acustica e sugli arrangiamenti orchestrali. Melodie più morbide, riff semplici ed eleganti che lasciano trasparire una maturità ed una profondità compositiva unica.
La voce di Matt Berninger, ormai riconoscibile tra mille, baritonale e malinconica, in grado di aggiungere un tocco di epicità che altri gruppi neanche sono in grado di immaginare.
L’album si apre con Terrible Love un intreccio di chitarre fuzzy e solide geometrie ritmiche su cui la voce calda di Berninger racconta una storia di amore e solitudine: < <It’s a terrible love/That I’m walking with spiders/It’s a terrible love that I’m walking with/It’s quiet company/And I can’t fall asleep/Without a little help/It takes awhile/To settle down/My ship of hopes/Wait til the past lets by/It takes an ocean not to break>>. Non a caso l’ideale legame con Boxer.
Sorrow è un buco nero languido e rarefatto che si sviluppa sulle linee di batteria di Bryan Devendorf < <Sorrow found me when I was young/sorrow waited, sorrow won/sorrow they put me on the pill/it’s in my honey, it’s in my milk>>.
Anyone’s Ghost e Afraid of Anyone sono piccoli gioielli new wave con ritmi pulsanti e toni crepuscolari.
Little Faith possiede un ritornello capace di entrare nella testa per restarci giorni.
Bloodbuzz Ohio aperta e tumultuosa, riporta descrive la bellezza del ritorno a casa: < <I still owe money to the money to the money I owe/I never thought about love when I thought about Home/I was carried to Ohio in a swarm of bees/I’ll never marry but Ohio don’t remember me».
Runaway è una ballata sofferta: < <What makes you think I’m enjoyin’ being led to the flood?>>. Vanderlyle Crybaby Geeks che chiude l’album è un inno di pacificazione, di rinascita.
I ragazzi di Cincinnati hanno giocano le loro carte migliori.
Autore: Alfredo Amodeo