Helena Noguerra è un’artista eclettica sì, ma non per il divertimento di provare le arti più diverse, una volta raggiunto il successo nella materia principale. La Noguerra è una delle poche che riesce a destreggiarsi con classe in canto, songwriting, danza, teatro e cinema. Non male. Soprattutto perché, come già detto, le sue apparizioni riescono costantemente a raccogliere applausi ovunque.
Nell’ agosto scorso è uscito il suo nuovo album, “Annèe Zero”, dopo dieci anni dall’ultima fatica musicale, che ondeggia tra gli impulsi più svariati, ma con un’estetica di chiaro stampo cantautorale (tipicamente francese). Nonostante il titolo del disco suggerisca un nuovo inizio, una rinascita, nella carriera dell’artista belga, le parole delle canzoni si rivolgono al passato, a rispolverare amori consumati, passioni superate e storie terminate. Il tutto immerso in atmosfere solenni, lente e insinuanti, un flusso acustico, con ritocchi elettrici, che non si allontana mai dall’equilibrio della composizione.
Le melodie conservano un fascino unico per tutti quarantacinque minuti di Annèe Zero. L’approccio è quello del folk acustico, quello morbido e conciliante, che si sposa alla perfezione con le liriche pop, come Noguerra dimostra di sapere. E di sapere usare. Proprio l’attenzione al lirismo rimane la base della composizione, completato dai ricami degli strumenti.
Doppie voci qua, coretti là, lenti flussi equilibrati di versi, calibrati, modulati. E sotto si distende il tappeto musicale, curatissimo e studiatissimo, che mette in mostra una scrittura lucida e raffinata. A tratti onirico, a tratti spensierato, a tratti più complesso, sempre ammiccante e sofisticato, figlio della migliore tradizione folk, svolazzando verso vette delle ballate pop o del funk. Un’atmosfera che in alcuni passaggi può sembrare vintage, ma che è elegantemente e abilmente resa moderna da una cura perfetta e esagerata ai particolari.
Senza arrivare al livello, inarrivabile, dei maestri Serge Gaingsbourg e George Brassens, è però evidente l’impronta del cantautorato francese e della musicalità della lingua d’oltralpe. Senza, neanche, avvicinarsi alle sperimentazioni più avanzate di un’altra artista magnificamente eclettica come la nostra Petrina, più vicina all’elettronica e alle ritmiche hip-hop. Nonostante lo sguardo rimanga fisso alla tradizione folk-pop, lo stile non inciampa nel sapore di sentito e risentito, trito e ritrito, seppure il rischio sia forte.
Quando le costruzioni di voci sono accompagnate dalle melodie elettriche delle sei corde sembra di risentire le ottime trame dell’esordiente Torres, anche se non troviamo in “Annèe Zero” le venature tipicamente indie della cantante statunitense.
Se le ballate, sempre fresche e leggere, costituiscono il corpo e la base dell’album, canzoni come Monsieur Paul si avvicinano ad un pop sinfonico, accompagnato da un sottofondo orchestrale. Ceux que j’ai embrassés, Tom, The letter U e Elvis suonano di maturità raggiunta, con i suoi crescendo e la sua intensità perfettamente misurati. Altre sono più spigolose e vorticose, con melodie dure, ruvide e più aggressive (Mon lucifier, Michèle et michèle e We have no choice); altre ancora, più essenziali ma sempre lucide, si accontentano di una trama e di una costruzione più semplice, tipiche dell’impostazione cantautorale (The horizon, Le premier jour, If, Appelle moi).
Un album che non si spinge verso orizzonti sperimentali, ma che è frutto di una scrittura precisa, di idee ben chiare e fisse e di un’ottima fase di registrazione. Quindi eclettica sì, ma con che classe!
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autore: Simone Pilotti