Paolo Messere riparte dalla sua arca felice. Lo fa con la rinnovata line up dei Blessed Child Opera e con un disco che presenta una spiccata sensibilità indie. Più vicino all’Inghilterra e meno a certi ambienti newyorchesi, sempre concentrato su un percorso che mira a vestire di toni scuri certo folk ispirato. “Happy Ark” è il terzo disco dei Blessed Child Opera ed è quello che più di tutti sembra aver trovato un punto di equilibrio; la strada presa sembrava chiara già nel 2004 quando, con l’uscita di “Looking After The Child”, si era guardato con sempre maggiore interesse a questa indie band napoletana (grazie anche al loro pezzo migliore “Flashing Lights”). E ora, dopo un momento difficile, in cui sembrava che la vita della band fosse a repentaglio, Paolo Messere riemerge con nuovi compagni d’avventura e regala un disco molto diretto e lirico. L’apporto di Francesco Candia alle chitarre, Davide Fusco alla batteria e Michele Santoro al basso è funzionale al concepimento di un disco in perfetto stile Blessed ma decisamente di un livello superiore. Le canzoni di Paolo Messere sono essenzialmente dei frammenti acustici che vestono panni sporcati da un certo post rock minimalista. Sonorità fortemente dark wave e uno sperimentalismo classico (vibrafono, clarinetto e cello) sono gli altri elementi che disegnano l’estetica di Happy Ark. Canzoni liriche come “Polish Me” e la catartica “Everything Touch Me” aprono nel migliore dei modi un disco fortemente ispirato. Che concede dei momenti elettronici come in “It Strucks Me” e “Minor Company” (dove sembra di ascoltare Dave Gahan che canta in “Violator”) e fa filtrare una luce di speranza dal tessuto fortemente malinconico e intimista del disco (“It’s Possibile Something”). L’impianto di Happy Ark è chitarristico ma si apre a diverse suggestioni che confluiscono nel classico stile cui Messere ha abituato. Forse troppo lungo, ma intenso e con pochissimi momenti di stanca. “Strong Medicine” chiude un viaggio nelle incertezze e nelle debolezze dell’uomo, lasciando presagire che un rimedio forte, una “strong medicine”, può esserci per ognuno di noi.
Autore: Stefano de Stefano