“Non ce ne sono in giro, di così funk” – sentenzia, estasiato, Antonino dopo il concerto. Gronda sudore e non riesce a togliersi dalla faccia il sorriso beato che ha mantenuto, in prima fila, per tutto il lungo live dei “Torsos”.
Questa era la fine. Ora ripartiamo dall’inizio.
In un periodo quanto mai buio per la musica a Napoli, arriva – provvidenziale – una manifestazione come “Hinterland Music”, che sposta l’attenzione verso la provincia dimenticata e desolata, dove la vivibilità spesso è inversamente proporzionale alla voglia di musica, così come il concerto degli Screaming Headless Torsos (appuntamento di chiusura della rassegna) ha dimotrato.
La band newyorkese s’è ritrovata davanti un pubblico caldissimo, pronto a sottolineare con ovazioni, urla e applausi generosi le sue prodezze e – questa davvero non me l’aspettavo – a cantare a memoria i versi delle canzoni.
Pubblico – diciamolo subito – ripagato abbondantemente da un concerto impeccabile e assolutamente travolgente.
A sorprendere, innanzitutto, l’incredibile voce di Dean Bowman, capace di passare dalle morbidezze soul di un Gil Scott Heron o di un Andy Bey alle più spericolate peripezie vocali, arrampicandosi su tonalità impossibili e in intricatissimi dialoghi con gli assoli di chitarra di David ”Fuze” Fiuczynski.
Fuze, appunto. La sua rinomata abilità tecnica è sorprendentemente – ed intelligentemente – messa al servizio del sound della band, e i suoi assoli non sono mai prolissi o auto-referenziali, ma sempre ben inseriti nel tessuto sonoro dei brani.
La sezione ritmica, costituita da Daniel Sadownik (alle percussioni), Fima Ephron (al basso) e Gene Lake (batteria), è di quelle che tolgono il respiro, capace di costruire groove irresistibili, e lanciarsi in repentini cambi di tempo che lasciano spiazzati.
I brani degli SHT seguono strutture imprevedibili: dal funk più canonico si passa fulmineamente ad un hard rock muscoloso (i Led Zeppelin sono dietro l’angolo), dal loro particolarissimo jazz-rock instabile si lanciano senza problemi tra ritmi reggae, tribalismi assortiti, o persino in una personalissima rilettura del tema de i “Simpson”! Il loro è un crossover totale, concepito col coraggio di sperimentatori curiosi, ma senza mai perdere di vista la fruibilità e l’impatto emotivo.
Epilogo: l’avreste dovuto vedere l’Antonino di cui sopra, ieri sera (3 dicembre), quando – alla guida della sua banda di sedici percussionisti – ha accompagnato Raiz nell’ultimo pezzo del suo show, facendo tremare le pareti del teatro Mediterraneo e scuotendo le gambe anche del più pigro degli spettatori. Perché vi dico questo? Per farvi capire che Antonino è uno che di ritmo se ne intende. E se quindi fa affermazioni del genere dopo il concerto dei Torsos conviene credergli!
Autore: Daniele Lama