Il nuovo album di Brychan ha una storia un po’ particolare: nasce in Galles, luogo d’origine del famoso cantautore, ma è per metà italiano, poiché le registrazioni sono state completate proprio in Italia. Come si può leggere nel retro del cd, infatti, il lavoro è stato prodotto da Paolo Benvegnù, ex leader degli Scisma, tutt’ora impegnato in collaborazioni, produzioni e progetto solista. Musica difficile da definire, quella di Brychan, forse perché spazia attraverso generi, senza senza fermarsi. Pop elettroacustico, folk, qualche (rara, purtroppo) influenza jazz… Suoni curati fin nei particolari, con una precisione che piacerà agli amanti del genere, ma lascia un po’ perplessi quelli che amano sentire l’energia di un gruppo che suona, quel “calore dei dischi anni ‘70” (cito lo stesso Brychan), che a mio modesto avviso si perde in una produzione ipercurata e moderna, soprattutto a causa dell’elettronica che contamina ogni canzone, impendendo loro di far emergere gli aspetti più caratteristici. Piuttosto uniforme all’ascolto, tranne che per la canzone d’apertura (“Desert Flower”), per “Souls” (l’unica, forse, in cui l’uso dell’elettronica riesce nell’intento degli autori/produttori) e per l’interessante “Love you”, in cui il cauntatore gallese gioca con la voce, riportando alla mente le raffinatezze del migliore Tim Buckley (spolverate un po’ quei dischi sullo scaffale in alto… avete trovato quello splendido lavoro che è “Lorca”?). La voce di Brychan è molto particolare, sa giocare con i ritmi e scandire parole molto velocemente, o concentrarsi su parole/suoni, come nella già citata “Love You”. Una voce molto bella, e con potenzialità davvero buone… peccato che Brychan si lasci attirare troppo dalla voglia di “essere al passo con i tempi”: non gli farebbe certo male spolverare quei dischi lassù in alto…
Autore: Lucio Auciello