I Turin Brakes possono lasciare perplessi. Non che siano un duo scadente, anzi. Il loro contributo a lanciare il new acoustic movemenet nell’ultima manciata di anni è stato notevole: perché aprire così la recensione del loro Dark On Fire? Perché essenzialmente non è cambiato nulla rispetto ai precedenti lavori. Sempre il solito girare intorno alla stessa formula. Una strategia che se per un attimo poteva fa drizzare le orecchie ma che adesso, al quarto disco in studio, lascia un po’ di amaro in bocca.
Dark On Fire è un discreto album di genere, quello a cui ci ha abituato il duo Olly Knights/Gale Paridjanian: ottimi suoni di chitarre acustiche, dei lievi accenti su sonorità elettriche che rimandano agli ultimi Embrace (che a loro volta rimandavano a Coldplay e U2) e tanti melodiosi incastri di voci. Tutto bello, tutto perfetto, tutto inoffensivo.
Folk-pop, soft rock e acoustic indie per un album prodotto da Ethan Johns (tra i suoi crediti Ryan Adams, Ray La montagne e Kings of Leon): alcune cose prescindibili, altre abbastanza convincenti.
“Last Chance” è forse il miglior episodio dell’album, chitarre che tagliano un impasto acustico poderoso per una melodia che ricorda parecchio alcune cose degli Starsailor.
E poi il singolo “Stalker”: altro gioiello (non a caso è il singolo). Archi, drumming potente e la consolidata formula acustica che offre il fianco a lancinanti tagli elettrici.
Poi però incontri un pezzo come la title track e capisci che non è tutto oro quello che luccica: un pezzo francamente prescindibile che si costruisce sulle chitarre e che esemplifica perfettamente le ombre e le luci dei Turin Brakes.
Un’ottima band che ha dato qualcosa di nuovo alla scena britannica, ma che sta lentamente esaurendo la propria carica: bisognerebbe rinnovarsi un poco, considerando che anche in questo disco ci sono pregevolissimi spunti ben al di sopra della media generale.
Autore: Stefano De Stefano